Il massimo esponente del Neoclassicismo ebbe da sempre un forte legame con la città partenopea
Antonio Canova, l’artista italiano ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura, ha intessuto, nel corso della sua vita, un forte legame con la città di Napoli che in questo periodo gli rende omaggio con una mostra dal titolo “Canova e l’antico” al Museo Archeologico Nazionale fino al 30 giugno 2019.
Nel capoluogo partenopeo Canova giunge, per la prima volta, il 27 gennaio 1780, a seguito di un viaggio d’istruzione, intrapreso alla fine del 1779, che aveva toccato anche Venezia e Roma.
Nel secondo “Quaderno di viaggio” l’artista annota, passo dopo passo, tutti i luoghi da lui vistati.
Di Napoli si sofferma sulla “deliciosissima situazione di questo Paese”; frequenta i teatri e visita le chiese. Si reca alla Cappella Sansevero dove apprezza il “Cristo Velato” di Giuseppe Sammartino, alla Galleria di Capodimonte, una delle più belle raccolte di pittura d’Europa, e la Reggia di Portici dove, all’epoca, erano riunite le antichità ritrovate negli scavi dell’aera vesuviana tra cui il “Mercurio seduto” della Villa dei Papiri di Ercolano, che gli appare “di meravigliosa bellezza”.
Ottiene il permesso per disegnare il nudo all’Accademia di Belle Arti, allora ospitata a San Carlo delle Mortelle. Nella Gipsoteca della sede attuale dell’Istituto, in Via Santa Maria di Costantinopoli, è possibile ammirare alcuni calchi in gesso del grande scultore.
Il suo soggiorno prosegue con un’escursione sul Vesuvio. Il 14 febbraio si reca in visita agli scavi di Pompei e di Ercolano e ai templi di Paestum. Nei giorni successivi si reca ai Campi Flegrei: visita Pozzuoli, l’antro della Sibilla, Baia e la solfatara. Il 28 febbraio lascia Napoli per una tappa conclusiva a Caserta e a Capua.
Nel 1787 torna a Napoli e scolpisce per Francesco Maria Berio, patrizio genovese residente in città, il gruppo in marmo “Venere e Adone” – oggi a Ginevra – opera del genere “delicato e gentile” che il marchese posizionò in un tempietto del giardino del suo palazzo in via Toledo.
Sempre per un altro nobile napoletano, don Onorato Gaetani dell’Aquila d’Aragona duca di Miranda, Canova propone di eseguite una scultura raffigurante Ercole e Lica, ispirandosi al modello ideale dell’Ercole Farnese e alla soluzione compositiva di un altro importante marmo delle raccolte farnesiane – che erano state trasferite da Roma a Napoli nel 1792 – il cosiddetto “Atamante e Learco” o “Ettore e Troilo”, o “Commodo”, opere oggi conservate al MANN.
Il gruppo, tuttavia, per una serie di vicissitudini fu acquistato successivamente dal banchiere romano Giovanni Torlonia e non arriverà mai a Napoli.
All’inizio del 1800, Ferdinando IV di Napoli chiede a Canova una statua-ritratto.
Il sovrano, rifacendosi alle origini greche di Napoli, intendeva rilanciare l’immagine della città quale nuova Atene e nuova Roma, un luogo in cui potessero convivere l’antico e il moderno. La statua di Ferdinando IV ebbe una storia complessa, e solo nel 1815, al ritorno del legittimo sovrano a Napoli con il nome di Ferdinando I Re delle due Sicilie, l’opera fu ripresa e terminata.
Per la stessa volontà del Canova, la statua è inserita nella nicchia dello scalone monumentale dell’allora Real Museo Borbonico, l’attuale Museo Archeologico Nazionale.
Nel decennio del dominio francese su Napoli, l’artista scolpisce i busti in marmo di Carolina e Gioacchino Murat (1813), di cui sono rimasti soltanto dai gessi, e la “Erma di Vestale” per il conte Paolo Marulli d’Ascoli, un’ opera che lascerà Napoli, prima per la Svizzera e poi per il Getty Museum di Los Angeles.
Nello stesso periodo gli viene commissionato un monumento equestre di Napoleone, del quale Canova aveva già realizzato i gessi del cavallo e del condottiero, ma che non porterà a termine per la caduta dei francesi.
Con l’avvento sul trono di Napoli di Ferdinando I di Borbone, chiede allo scultore di completare il monumento inserendo la statua di suo padre, Carlo III (1815) che oggi si può ammirare ammirarle in Piazza del Plebiscito.
L’ultima commissione “napoletana” fu il monumento funerario al marchese Berio, mai completato a causa della sopraggiunta scomparsa del Canova nel 1822 e successivamente utilizzato da Monsignor Giambattista Sartori Canova, fratellastro dello scultore, come tomba per il maestro e per se stesso nel Tempio di Possagno.