Bad Girls: le concelline di Antonella Bolelli Ferrera

Da vittime a carnefici: le storie raccontate dal direttore artistico del premio letterario “Goliarda Sapienza”

Qualunque tipo di storia ha bisogno di essere raccontata, ma soprattutto, non esistono storie che non meritano di essere ascoltate. E il mettersi in ascolto, genera condivisioni e nuovi mondi. Quando si dice voler essere dalla parte degli ultimi e farlo per davvero, con la giusta attenzione e sensibilità.

È esattamente quello che fa, da oramai molti anni, Antonella Bolelli Ferrera.

Giornalista, scrittrice, autrice e conduttrice radio-televisiva, si dedica da tempo ad attività culturali volte al reinserimento sociale dei detenuti. Ideatrice e direttore artistico del premio letterario “Goliarda Sapienza”, si batte anche per la diffusione della letteratura e della scrittura a favore delle categorie socialmente svantaggiate.

Perché lo sappiamo, che la scrittura può essere salvifica e lo sanno anche molte delle donne che la Ferrera ha incontrato sul suo cammino. Donne che sono sicura, hanno cambiato anche la sua di vita.

Mi sono imbattuta con veemenza e voracità, nel suo ultimo lavoro letterario “Bad Girls, da vittime a carnefici”, edito La Lepre Edizioni. Storie di donne vittime di violenze fisiche, morali e psicologiche, a cui hanno reagito facendosi giustizia da sole. Di vendicarsi, di chiudere un cerchio. Donne che ritrovano dietro le sbarre un apparente ed irragionevole senso di libertà. Un vero paradosso, sì.

Tutto è nato sull’onda del fatto che mi sono trovata in carcere per un’intervista, per il programma che conducevo su Radio Tre. Avevo letto il libro di “Università di RebibbiaGoliarda Sapienza”, detenuta per un breve periodo nel carcere romano, e da qui tutto ha preso forma. Ho pensato che scrivere delle loro esperienze potesse essere un’opportunità per le persone ristrette, di portare all’esterno pensieri e storie e di confrontarsi con la scrittura e la lettura. Mi è venuto in mente di realizzare un premio letterario rivolto solo alle persone detenute. Particolarità del premio è quello di affiancare a ciascun aspirante autore finalista, un grande scrittore nelle vesti di tutorè quanto mi racconta Antonella attraverso un telefono, in un pomeriggio di maggio.

Mentre leggo il libro, a tarda sera, capisco che per Antonella Ferrera c’è stato un passaggio doloroso, quello dall’ascolto delle storie, alla loro stesura. Mi rendo conto dunque che lei l’ha vissuta due volte, questo è quanto accade ai giornalisti, certo. Ma ci vuole sangue freddo in casi come questi. E tanto amore.

Il libro era già in corso di realizzazione quando è esploso il Covid. E vista la situazione – dato che non era più possibile interloquire – ho fatto mio quanto mi hanno raccontato, prendendomi una bella responsabilità. Spero di non averle deluse…”.

Dona coraggio alle altre detenute, consapevolmente o meno Patrizia Durantini, nel suo caso, non era la prima volta che si raccontava o che si metteva a nudo con la scrittura. Lo chiamano esercizio di stile, ma è della loro vita assurda e surreale che si parla.

“È la persona che conosco meglio, i suoi racconti parlano di se stessa e di altre donne. Il suo sguardo è più ampio. Patrizia è consapevole di tale percorso letterario. Lei ha avuto un’evoluzione personale immensa. Quando la conobbi, durante un percorso di scrittura creativa in carcere, scrisse un racconto dove emergeva un tale rancore verso il padre da non sembrare neppure vero. Lei meditava di far fuori suo padre adottivo. Giunta alla fine del suo racconto, tutto si dissolse, l’odio verso il padre si era trasformato in amore. Merito della scrittura, mi ha detto Patrizia.”

E poi c’è lei, Dacia Maraini, che disegna queste donne, sembrano quasi prendere forma, con la sua magistrale introduzione. Sembra anche al lettore di vederle sedute a ripercorrere la propria storia, vestite semplici con un filo di trucco. Dacia ci ricorda un aspetto importante, è che la profondità di una storia muta a seconda di chi la racconta. Qui si parla di cronaca nera a tutti gli effetti – non dimentichiamocelo – eppure, leggendo quelle pagine, io l’ho dimenticato del tutto.

Doveva trasparire l’aspetto umano, non il fatto di cronaca. Dacia Maraini è la madrina del premio Golardia Speranza, è una donna che sente molto queste tematiche, lei ha avuto molte occasioni di frequentare le carceri, sa bene di cosa parla. Molte donne quando escono dal carcere subiscono un forte sbandamento, in parte dovuto alla società che non accoglie persone che si sono macchiate di reati. Anche se all’interno delle carceri nascono molti conflitti tra donne, si crea anche una grande complicità tra di loro” – conclude.

Mi rendo conto mentre scrivo e mentre parlo con Antonella Ferrera, di quanto conti, in questo casi, il peso delle parole. Raccontare una storia e ascoltarla nella sua totalità, non giustifica il crimine commesso, piuttosto ci aiuta a sviluppare e ad allenare quello strano sentimento che troppo spesso, oggi, sembra mancare, l’umanità.

Oggi non odio più, in me rimane l’indifferenza. Nel carcere, quello vero, che ora mi ospita, sento di essere nel posto giusto per la mia anima dannata” – storia di Sara.

Event Details
Cerca Evento