Un pigmento indisciplinato la cui storia si perde nel tempo, ma dal legame indissolubile con il popolo partenopeo
Credo che la lettura sia una passione straordinaria. Poche cose incuriosiscono ad arricchiscono come leggere un buon libro. Capita delle volte di imbattersi in storie davvero interessanti, fatti che puoi soltanto riportare e condividere con gli altri. Kassia St Claire ha scritto una bellezza chiamata “Atlante sentimentale dei colori” edito UTET e da buona partenopea, mi sono soffermata a pagina 80. La storia che ho letto è quella che segue.
In una vecchia farmacia vicino Darmstadt, in Germania, negli anni 70 venne rinvenuta una collezione di 90 boccette. Viride bronzeo, Oricello Persia, Gummi Gutta, stravaganti nomi si leggevano sulle etichette riposte sopra le boccette, il cui contenuto era difficile da comprendere. Solo dopo una serie di analisi, si scoprì che quelle polveri e quei liquidi, erano in realtà dei pigmenti ottocenteschi. Una delle boccette riportava una piccola legenda: “Neapelgelb Neapolitanische Gelb Verdbidung Dis Spieglaz Bleis”, in parole povere Giallo Napoli, un colore tendente al camoscio, ma più chiaro. Il suo pigmento deriva dall’antimonio di piombo, che solitamente è color giallo paglierino con qualche venatura di rosso blando. Il primo probabilmente ad utilizzare il termine Giallo Napoli, fu Andrea Pozzo, un gesuita italiano e pittore barocco. In un affresco redatto in latino tra il 1693 ed il 1700, viene nominato un pigmento giallo, il “Luteolum Napolitanum”. Solo nel 700, cominciarono ad apparire maggiori riferimenti al Giallolino di Napoli, il termine poi ben presto si diffuse anche nella lingua inglese.
C’è da dire però, che il pigmento era tutt’altro che disciplinato e stabile. Il chimico inglese George Field, lo adorava per la sua tinta calda e piacevole, ma dovette arrendersi alle sue imperfezioni: tendeva ad annerirsi a causa dell’umidità e dell’aria impura.
Il Giallo Napoli risultava particolarmente affascinante come pigmento, per varie ragioni. In primis perché quasi nessun era certo della sua provenienza, proprio come quelle boccette in Germania. Lo stesso Field che ne scriveva nel 1835, o Salvator Dalì cento anni dopo, che credeva invece venisse estratto dal Vesuvio. L’antimoniato di piombo, restava comunque uno dei primi pigmenti sintetici della storia: veniva realizzato a mano già dagli antichi egizi, un procedimento che richiedeva destrezza e conoscenze specialistiche. Il Giallo Napoli difatti, viene anche definito Giallo Egiziano. Un’altra ragione che spiegava la sua popolarità era dovuta al fatto che non c’erano pigmenti gialli completamente affidabili in circolazione, almeno fino al XX secolo.
Il Giallo Napoli rimase a lungo un colore indispensabile per tanti artisti, nonostante i suoi difetti. Nel 1904 il postimpressionista Paul Cézanne, dopo aver visto la tavolozza si un amico, priva di quel pigmento, incredulo esclamò: “Dipingente solo con questi colori? Dov’è il vostro Giallo Napoli? Il nero pece, la terra di Siena, il blu cobalto, la lacca bruciata? È impossibile dipingere senza questi colori”.
Tendiamo spesso ad associare la città di Napoli all’Azzurro, che richiama il colore del mare e la squadra di calcio. Elementi imprescindibili per un napoletano. Ma è anche vero che il Giallo a Napoli richiama il busto di San Gennaro “Faccia Gialla”, la Ginestre del Vesuvio, le Pietre di Tufo. Ma soprattutto, il giallo rappresenta la luce, è il colore del sole, e come canta e ci ricorda un celebre brano interpretato dai più grandi artisti: “Chist’è ‘o paese d’ ‘o sole”.
In foto un dipinto di Giaginto Gigante, esponente della Scuola di Posillipo.