La Gorgone di Buccino, il triplice mistero delle dee arcaiche

Gli “spauracchi” e la loro antica e misteriosa origine. Il caso degli amorini: Vittorie Alate o lase etrusche?

I capelli ricci e neri si lasciano sormontare da una corona frastagliata, gli occhi digrignano la rabbia che si fa furore nella lingua che vince, in un riso sardonico e violento, la selva dei denti e ammonisce chi la guarda con fosche intenzioni.

La Gorgone è parte di un edificio ritrovato negli scavi dell’antica Volcei. La sua funzione, asseriscono gli studiosi, è molto simile a quella delle Erme dell’antica Grecia: la protezione della comunità, in questo caso degli inquilini, dall’invidia dei vicini e dalla violenza dei malintenzionati.

Eppure la Gorgone che è diventata il simbolo del Museo Archeologico di Buccino tradisce una storia ancora più antica. Tutti conosciamo il mito di Medusa, la stupenda vergine violata da Poseidone e punita da Atena perché nel suo tempo il dio dei Mari si unì a lei.

La sua chioma, divenuta di serpi e il suo sguardo capace di pietrificare chiunque la sfidasse sono gli attributi propri di una divinità antica che finì spodestata (e demonizzata) dal culto olimpico. Le Gorgoni, come le Erinni, furono divinità femminili, materne sì ma al contempo terribili adorate in un tempo antichissimo. Il ciclo greco dell’Orestea appare ancora oggi una delle più fedeli “cronache” del passaggio di civiltà, da quella materna, clanica e di sangue al culto olimpico, paterno, fondato sul diritto.

L’iconografia volceiana, però, lascia la suggestione di una divinità non ancora demonizzata ma, al contempo, saldata ad archetipi umani così diffusi da ritrovarsi fin dove uno mai se li aspetterebbe. La lingua che pende dalla bocca, mostrata all’indirizzo dell’hostis, è segno di sfida, di irrisione, di minaccia.

Ricorda quella di Kalì, la Signora della distruzione del pantheon indù, una delle figure più controverse (e fraintese) della cultura indiana. Forse è proprio in una divinità femminile allo stesso tempo terribile e protettiva, spietata e al contempo elargitrice di beatitudini, nella Notte che dissolve in sé i colori la chiave per intendere, oggi, la Gorgone, quindi la deità femminile nel più terribile aspetto della sua triplice essenza. 

Un’altra icona ricorrente è quella dell’uomo alato con l’immagine che oggi associamo immediatamente a quella di un angelo. Nella pittura vascolare volceiana è diffusissima. È stata interpretata, spesso, come una rielaborazione della Vittoria, la Nike alata del pantheon greco.

Eppure una suggestione potrebbe saldarsi ai rapporti che intercorrevano tra gli abitanti dell’antica Volcei con un altro popolo che ebbe a recitare, anche in Campania, un ruolo fondamentale nella storia antica: quello degli etruschi. Maschi e (più raramente) femmine, dotati di larghe ali piumate erano le Lase, figura a metà strada fra il messaggero degli dei e gli amorini alla corte della dea Turan, identificata nella Venere dei latini.

Tuttavia, non mancano nemmeno coloro i quali ritengono che le Lase non fossero adorate da nessuno ma, tutt’al più, si possa parlare di loro soltanto come di motivi ornamentali, di figurine dipinte per rendere più belli gli oggetti senza per questo voler sottintendere alcun significato o mistero religioso.

L’antichità del sito di Volcei e la ricchezza che la città ebbe fin dal 3.000 a.C. si traduce oggi in un giacimento archeologico tanto interessante quanto ricco su cui ci sarebbe tantissimo da studiare, lavorare, scrivere. Solo così, probabilmente, riusciremmo a sapere molto di più sui nostri antenati e, quindi, su noi stessi. 

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