In biblioteca, disegno di Edoardo Dalbono nella collezione del Musap

Il pittore napoletano, fu uno dei grandi protagonisti della scena politica partenopea del secondo Ottocento

Quella tra Edoardo Dalbono e il Museo Artistico Politecnico di Napoli è una storia d’amore che dura da più di 130 anni. Il grande pittore napoletano, figlio di Carlo Tito e nipote di Cesare, entrambi letterati e critici di successo, fu uno dei grandi protagonisti della scena pittorica partenopea del secondo Ottocento, oltre che personalità artistica poliedrica e proiettata, sul finire degli anni Settanta del secolo, verso i più ambiziosi palcoscenici europei.

Come fondatore della “Società Napoletana degli Artisti” nel 1888, assieme ad altri artisti di prim’ordine, fu un perno centrale nelle vicende che portarono alla nascita del Circolo Artistico Politecnico, basti pensare che la sua casa divenne la sede del primo originario embrione di questo sodalizio artistico, che, nella sua primigenia missione culturale, ancora oggi, fortunatamente, sopravvive a palazzo Zapata, negli ambienti del Museo Artistico Politecnico di Napoli.

Nelle collezioni del Musap si conserva un’unica opera di Dalbono, un pastello grasso su cartainventariato nel 1936 come un semplice Nudo, ma oggi conosciuto come In biblioteca, titolo ironico e irriverente per una scena in cui la protagonista, una donna nuda ripresa di spalle e dall’ignoto volto, viene ripresa distesa su una chaise longue, verosimilmente negli stessi locali del Circolo, intenta a leggere una rivista.

Con pochi ma incisivi colpi di matita l’artista descrive sommariamente il fondo della scena, solo accennato, tratteggiando analiticamente, invece, le forme vivide e inebrianti della modella attraverso delicati effetti di sfumato nei passaggi chiaroscurali. Il risultato è quindi uno spartito di straordinario valore formale e intriso di modernità, nel quale si trovano condensate la vena naturalista e una esplicita e ragionata intonazione erotica, ulteriormente accresciuta dal fatto che la modella non è ritratta in un nudo ‘integrale’, bensì mentre indossa ancora le calze e le scarpe, come in una sessione di lavoro rapida e fugace.

Questa composizione semplice e schietta riesce a esprimere in sé alcuni dei valori distintivi della maniera del pittore napoletano, ribadendo, allo stesso tempo, quanto superficiale e incauto sia stato l’insopportabile pregiudizio valutativo che a lungo ha pesato sulle produzioni grafiche, troppo spesso sottovalutate e considerate dalla storiografia come sottocategorie artistiche in confronto alle opere prime, e invece chiavi complesse ma fondamentali per l’indagine e la piena comprensione dello stile e dell’esperienza di un autore multiforme come Dalbono.

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