Le finaliste perdenti di Coppa dei Campioni, storie agrodolci di uomini e palloni
Opinione comune e molto diffusa è che la storia sia sempre scritta dai vincitori.
Ma è davvero così? Chi l’ha detto che anche i vinti non abbiano diritto a salire su quel carro?
Per fortuna, qualcuno ha pensato a loro, a quelli che immaginavano una corona di lauro cingergli il capo e, invece, si sono ritrovati in mano una medaglietta di latta con su scritto “ritenta, andrà meglio la prossima volta”.
Per fortuna, dicevamo, qualcuno ha pensato a loro, a quelli che scendono in campo per novanta (o centoventi) minuti di lacrime e sudore e, solo dopo che l’arbitro ha fischiato tre volte, restano in un angolo, sguardo fisso nel vuoto e occhi gonfi. Hanno vinto gli altri.
Qualcuno ha pensato a loro, per fortuna, qualcuno ha voluto rendere loro giustizia. E ci ha scritto addirittura un libro.
L’autore di questa “stravagante” impresa letteraria si chiama Felice Panico, è un regista e un attore di teatro napoletano, e in “C’e mancato poco”, pubblicato da Fefè Editore, regala un’interessante e divertente riflessione sulle occasioni perse e quelle mancate, concentrate in 21 capitoli che raccontano le storie della squadre finaliste – e perdenti – della Coppa dei Campioni/Champions League.
Attenzione: non perdenti qualsiasi. Il libro racconta le vicende di diciassette squadre che sono arrivate in finale e non l’hanno mai vinta. Almeno fino ad oggi.
Quelle della “dura legge del gol”, come cantava Max Pezzali, che magari fanno un grande gioco e poi però sono gli altri che, alla prima – e forse unica – occasione segnano in porta. E vincono.
Sono squadre che meritano rispetto e dignità perché sono arrivate in finale, perché se l’importanza del viaggio non è la meta ma il viaggio stesso, non puoi non speare di crederci se da settembre a maggio attraversi l’Europa per battere tutti e, su campo neutro, ti ritrovi di fronte sempre loro, e loro sono il Real Madrid, che di coppe ne ha vinte 19, o il Barcellona, o il Milan o il Liverpool.
Ma questa volta forse ce la fai, questa volta forse ci riesci. Invece no. Dopo novanta minuti, dopo i supplementari, dopo i calci di rigore sono sempre loro a vincere.
L’arbitro fischia tre volte e tu e i tuoi compagni restate lì, immobili, attoniti, occhi gonfi in cerca di comprensione. Arriverà poi il momento della medaglietta di latta, delle pacche consolatorie sulle spalle e di una nuova forza che sale da dentro perché, in fondo, c’è mancato tanto così.
Perché in fondo, come recita un antico proverbio cinese, “non si può perdere sempre”.