Marco Paolini a Napoli con “Numero Primo”

L’attore e regista debutta con il suo “studio per un nuovo album”

Ha debuttato al Teatro Nuovo di Napoli una delle prove più convincenti e interessanti dell’attore e regista teatrale Marco Paolini:Numero Primo, studio per un nuovo album”, un lavoro nato dalla sua personale esigenza di non avere più il bisogno di guadare indietro o di ricostruire, ma di sforzarsi di immaginare il futuro. Una premessa importante che conduce a un considerevole cambio di registro rispetto agli Album precedenti, non fosse altro perché Paolini porta (coraggiosamente) sul palcoscenico temi attuali e in rapido divenire quali la tecnologia, l’intelligenza artificiale, la sperimentazione biologica e le sue possibili conseguenze, raccontandoci una generazione drammaticamente “alle prese con una pervasiva rivoluzione tecnologica”.

Una rivoluzione dai ritmi accelerati che però spesso non siamo in grado di sostenere e allora, inevitabilmente, rifugiamo in un passato confortevole, custode dell’approccio “naturale” alla vita. Perché l’uomo, in realtà, è costantemente vittima della dicotomia tra speranza e fiducia, un po’ come quando ci avviciniamo alla sbarra del Telepass, e non può scegliere né l’una né l’altra perché è di tutte e due che ha bisogno, anche se dislocate in tempi e spazi differenti all’interno della nostra stessa anima.

Come si può raccontare tutto questo? Paolini sceglie una dimensione temporale lontana, in cui le vicende possono sembrare insolite ma non impossibili, e colloca i fatti cinquemila giorni dopo il tempo che stiamo vivendo. La storia è quella di una paternità sui generis, “confermata da un atto notarile senza aver avuto un atto sessuale”, in cui c’è un padre putativo che non avrebbe mai voluto diventare genitore, che fa il fotografo freelance de vive nell’interland di Venezia, un “interland senza la h perché mica siamo tedeschi”.

L’uomo si chiama Ettore Achille, tanto per non fare sgarri né ai Troiani né agli Achei, e un giorno in rete una donna lo cerca “perché le piaceva il mio nome, Ettore”, questo nome che viene dal greco e che significa “colui che resiste”. Iniziano una relazione virtuale, come ce ne sono tante, troppe. Di lei non sa quasi nulla, tranne che si chiama Hechne, nome che per assonanza ci riporta al termine greco “téchne”, ovvero l’arte dell’operare seguendo regole precise, scientifiche e razionali. Ettore non l’ha mai vista, conosce solo la sua voce che gli è entrata talmente dentro che quando lei un giorno gli dice “sto morendo ho un figlio e tu diventerai suo padre” lui un po’ tergiversa, ma poi accetta un improbabile appuntamento sulla giostra delle tazze di Gardaland per portare a casa sua questo bambino di cinque anni, Numero Primo.

Il bambino in realtà si chiama Nicolas (come il Nicola degli Album precedenti) Fermat (come il più grande matematico del XVII secolo, uno dei fondatori della teoria della probabilità): per lui tutto è nuovo, tutto è bello, compreso il tratto di autostrada tra Desenzano e Mestre. E gli piace il due, che è il primo dei numeri primi.

Da quel momento in poi la vita di Ettore viene sconvolta dal senso di responsabilità e dall’amore, ma con l’andare avanti del racconto viene sempre più fuori che Numero Primo in realtà è un bambino fuori dal comune, dotato di capacità e intelligenza straordinarie, a volte non umane, ed è minacciato da “quelli” a cui non piace che lui sia al mondo, che lo osservano e provano a fargli del male all’interno dei vari contesti che si susseguono nel corso della narrazione: via Piave, l’ospedale dell’Angelo, il Petrolchimico di Marghera, la scuola “Steve Jobs già Giosuè Carducci”, la montagna, la giostra a seggiolini.

Il finale non c’è o non c’è ancora, com’è giusto che sia. Perché per la dicotomia di cui sopra, tra speranza e fiducia, il teatro rappresenta quella “comfort zone” in cui i tempi non sono, per fortuna, così accelerati.

Event Details
Cerca Evento