
La discesa del Calascione, una stradina antica e piena di sole
Salendo Via Monte di Dio c’è una antica strada poco conosciuta agli stessi napoletani che permette, percorrendo appena seicento metri, di avere uno spettacolare affaccio sul mare. E’ la Discesa del Calascione.
Il nome richiamerebbe il calascione, una sorta di liuto dal manico lungo che era molto diffuso nella Napoli tra il XVI e il XVII secolo, ma non si capisce quale potrebbe essere il nesso col percorso in questione. L’unica traccia che troviamo come rimando al mondo musicale è la targa posta su uno dei palazzi che si affacciano sulla stretta stradina, che ricorda la dimora del grande musicista Sigismondo Thalberg, morto a Napoli il 27 aprile 1871.

Il percorso in origine collegava Via Monte di Dio con Via Santa Maria a Cappella Vecchia attraverso delle rampe, oggi purtroppo chiuse al pubblico: permetteva quindi di risparmiare molto tempo per arrivare nella zona di Piazza dei Martiri. Fino agli anni Settanta era praticabile tramite il pagamento di un pedaggio; sono forse questi i “duje centesimi“, altro nome con il quale questa strada è conosciuta. Molto probabilmente era invece un dazio da pagare per importare le merci all’interno di Napoli. Infatti uno dei varchi di accesso alla città era Porta di Chiaja e da li, risalendo le nostre rampe, si poteva arrivare dentro le mura cittadine.
In fondo alla stradina si apre davanti agli occhi un meraviglioso spettacolo. C’è un belvedere dal quale si scorge il profilo della Scuola Militare della Nunziatella e sotto delle antiche grotte ora murate. Questa zona è detta Chiatamone ed il suo nome deriva dal greco platamon, che vuol dire “grotte scavate nella roccia“. Infatti sotto il monte Echia c’è tutto un sistema di cavità che in epoca greco – romana ospitarono altari dedicati a Mithra e Dioniso. Questi culti libertini e dal carattere orgiastico erano inammissibili per il cattolico vicerè di Napoli don Pedro de Toledo, che decise quindi di murare le aperture e cancellare le tracce degli usi profani.
Durante il corso del Settecento furono in parte riaperte dal popolo che qui lavorava lo spago delle corde e delle reti da pesca, vivendo in condizioni igienico – sanitarie abbastanza critiche. Delle condizioni di vita di questa misera gente scrisse anche Pasquale Villari nelle sue Lettere meridionali del 1878 e Matilde Serao nel suo romanzo L’anima semplice. Suor Giovanna della Croce del 1901