Suggestioni e fascino di un luogo dell’anima che aspetta solo di essere visitato
Capita che il navigatore si inceppi. Succede che ti imponga di percorrere strade invisibili, di seguire itinerari che solo il suo algoritmo conosce. Accade, perciò, che ti perdi. E lo fai insieme a quel che rimane della tua pazienza. Altre volte, però, succede che ti faccia un regalo. Che la sua malefica volontà cretina di macchina senza un briciolo di buonsenso, che lavora alla tua perdizione, per farti del male ti regala un bel po’ di bene.
A me è accaduto in questo fine settimana. Per ragioni note a lui solo, Google Maps mi ha spedito a tagliare le colline dell’Alta Irpinia. E senza rendersene conto (è un maledetto algoritmo malefico che lavora per la maggior gloria di Mordor) mi ha regalato l’emozione di (ri)scoprire la bellezza, travolgente e tenera, dei paesaggi dell’Appennino campano.
Il mio viaggio è cominciato da Lacedonia, è finito nella Contea. I segni, come dice quello, sono per chi sa intenderli. Avrei dovuto capirlo già in autostrada quando ho visto, incastonata nell’umile superbia dei campi, un delizioso ponte di pietra che a un occhio distratto sarebbe stato invisibile. La bellezza non si mostra a chi tiene gli occhi chiusi e il cuore impermeabile.
Quando mi sono lasciato alle spalle la zona industriale e il centro abitato, ho proseguito verso Lioni, da dove avrei preso la Fondovalle Sele che mi avrebbe condotto fino a Contursi Terme. Prima, però, ho dovuto attraversare il territorio di Bisaccia.
Ai margini della carreggiata, campi coltivati che avvolgono i pendii, ora dolci e ora aspri, della collina irpina. Qua e là, spuntano vecchie case coloniche che fanno da contrappunto ai trattori che pettinano i campi. Lontani e distanti dai maglioncini di lana, i cani qui aiutano gli uomini e le donne – come quell’anziana intabarrata nel vestitino celeste a fantasia floreale che raccoglie more e asparagi selvatici – che tutta la loro vita hanno dedicato e dedicano (inconsapevolmente?) al culto della Bellezza.
Le nuvole di fine estate, cariche di fulmini e minacce di tempesta, si aprono per farsi attraversare dai raggi del sole e, qua e là, illuminano antichi borghi in lontananza. Sono al centro dell’Irpinia. I segnali blu, indicano la direzione per Andretta, Sant’Angelo dei Lombardi, Bisaccia. Comunque vada, andrà bene.
Mi ero lasciato alle spalle i colori magnifici della Puglia: chiari, caldi, arsi e riarsi. Bellissimi. In Irpinia, quei colori cambiano. È una tavolozza dove tutte le sfumature, tutte le anime del verde dipingono lo stupore di un paesaggio che invano si cercherebbe perfino al cinema. Pennellate impresse dalla natura, solchi scolpiti dal lavoro tenace e duro dei contadini. La luce, le ombre spiegano l’anima di questi luoghi e colorano la sua bellezza, la sua tenerezza, quella che ti stringe al cuore e che ti sussurra il significato di tante parole, quelle danno il senso dell’esistenza.
Poco più in là, ospite ingombrante, il parco eolico a Bisaccia. Da lontano paiono piccolissime. Quanto ti sbagli, lo capisci solo quando ci sei praticamente dentro. Mulinano e imbrigliano l’energia del vento, che mai manca -proverbiale – “tra Lacedonia e Candela”. La suggestione è quella di don Chisciotte, ovviamente. Chissà, oggi, se si lancerebbe – in sella al fidatissimo Ronzinante – alla riscossa di chissà quale bella fanciulla. Chissà se i colori di Spagna, i campi assolati della Mancia non siano che un luogo dell’anima e, pertanto, slegati da una rigida e scolastica collocazione geografica.
Lasciati indietro i mulini a vento, tagliando le valli, salendo e scendendo tra strade a me sconosciute, queste iniziano a ingrossarsi. A farsi più ampie, punteggiate di incroci più canalizzati e comodi. Il verde delle colline si fa più freddo mentre a Lioni inizia la Fondovalle Sele. Il grigio dell’asfalto, dei ponti – complici le goccioline che iniziano a scendere – si fa cupo. A destra e sinistra, fuori dalla strada solcata ogni giorno da centinaia di auto e frequentatissima anche dagli motociclisti, si mostrano centri storici lontani. Il sole, beffardo, li illumina e lascia ombrosa la superstrada. Tutto intorno, i boschi dai colori freddi che, però, riscaldano il cuore.
Qui, almeno in teoria, si corre troppo veloce per soffermarsi. Qui, in pratica, si commette il peccato più grande dei nostri tempi. Fermarsi per ubriacarsi di bellezza è follia specialmente oggi che alla magia del bosco, agli elfi, alle fate, agli orchi non ci (deve) credere più.
Loro, però, se ne fregano. Loro sanno che se J.R.R. Tolkien fosse nato qui, avrebbe scritto lo stesso e bello così come è, il suo capolavoro. Perché la Contea è sempre lì: un luogo dell’anima che aspetta solo di essere visitato.