Rarissimo esempio di architettura egizia, risale al XIX secolo
Una fessura tra edifici e una enorme cupola. Appare così, tra le architetture di Piazza Salvatore Di Giacomo, la cupola verde del Mausoleo Schilizzi a Posillipo. Domina. Si impone allo sguardo dei passanti questo “cupolone” del XIX secolo sorto nella terra che fa cessare i dolori, suoi compagni silenzio, natura, oblio.
L’ edificio, esempio rarissimo di architettura egizia, fu inizialmente voluto dal banchiere livornese Matteo Schilizzi come tomba di famiglia ma divenne in seguito, con l’acquisto del Comune di Napoli nel 1921, monumento ai caduti della Grande Guerra. “Napoli ai caduti per la patria” è l’enorme lapide collocata sotto l’imponente scala che conduce all’ingresso. È un’ascesa suggestiva e commovente ad un cimitero solenne. Il suo stile fonde, grazie alla mano dell’ architetto Alfonso Guerra, elementi egizi e neorinascimentali. Del resto in Europa, dopo le campagne di Napoleone in Egitto e le scoperte di Jean Francois Chiampollion con la Stele di Rosetta, si era in piena “Egittomania”.
Il Mausoleo sembra una piramide, decorata in facciata da un enorme “ureos”, simbolo del potere dei faraoni, ma con un vertice tondo, la sua cupola, appunto. Due enormi statue-mummia avvolte da folte palme, sono i guardiani della chiesa superiore. L’ interno è semplice nonostante le enormi dimensioni delle colonne scanalate che dividono la chiesa in tre navate. L’ abside è luogo di luce e di mosaici in oro con simboli e stemmi legati al mondo militare. In alto campeggia la scritta azzurra:
“Questo tempio da sublime pianta fraterna eretto
per potente magistero d’arte insigne
LA CITTÀ DI NAPOLI
volle consacrato ai caduti in guerra
perché da questo colle di divina bellezza
s’ irraggiasse quella ideale santa ed eterna del sangue per la patria versato
MCMXVIII – MCMLX“
E il sangue della patria versato si vede scorrere nelle centinaia di nomi incisi sulle pareti in marmo: marinai, piloti, brigadieri, i caduti delle due guerre mondiali compreso quelli delle famose quattro giornate di Napoli. Ai loro piedi qualche corona istituzionale ingiallita dal tempo e dalla polvere con stendardi e bandiere riposte lì in occasioni delle poche cerimonie ufficiali. La polvere e l’incuria hanno invaso sopratutto la cripta inferiore. Qui manca anche la luce, fortuna che, oltre che dal piccolo ingresso, entra anche da un “lumen” in corrispondenza della chiesa superiore.
Nel buio la curiosità ci guida tra le numerose lapidi affollate di nomi e date, fino a ritrovare quella in cui era sepolto Salvo D’Acquisto il vice brigadiere dell’Arma dei Carabinieri che, all’età di 23 anni sacrificò la sua vita per liberare dei civili da una esecuzione nazista. Oggi è beato. Il suo corpo è stato da qui traslato nella Basilica di Santa Chiara il 23 ottobre 1986 e per fortuna i fiori e le corone deposte nella sua attuale cappella non sono coperte da polvere e indegno oblio.
Il Mausoleo Schilizzi è un luogo dall’architettura imponente, vi hanno lavorato artisti importanti come Alfonso e Camillo Guerra e Giambattista Amendola ed è inspiegabilmente dimenticato. Un cimitero militare, luogo di morte e memoria, luogo di Stato, fortezza dai cancelli sbarrati, è straordinario patrimonio artistico offeso dai catenacci.
È così che si perde la memoria. E pensare che le tante palme che adornano finestre e cancelli e che avvolgono i corpi imponenti dei guardiani-mummia, dovrebbero essere associate alla divinità creatrice del mondo, al sole e a nuova vita.