Una mostra celebra il sodalizio artistico e personale tra la rockstar e il fotografo giapponese
Si dice che i diversi si attraggano. Che le differenze possono creare rapporti che durano una vita, ma è anche vero che senza curiosità e predisposizione al cambiamento nessun legame ha vita lunga.
Molti, infatti, implodono. Ma è anche vero che, per quei pochi che riescono a sopravvivere, sono fuochi d’artificio.
Prendiamo David Bowie e Masayoshi Sukita. Un’icona pop made in UK e un fotografo giapponese legati in un sodalizio – professionale e personale – che ha resistito, per più di quarant’anni, alle mode, ai gusti e ai cambi di identità.
Com’è possibile? La risposta è lì, nelle fotografie del maestro che viene dal Celeste Impero, presso le sale del secondo e terzo piano di Palazzo Fruscione, al centro storico di Salerno.
Un rapporto nato da una reciproca “folgorazione”, figlia di una mera curiosità che, intelligentemente, cede il passo alla sperimentazione verso nuovi linguaggi di comunicazione, passando da un eccesso all’altro, prendendo a prestito modelli culturali tra loro diversi e fondendoli in maniera universale.
La mostra “Stardust. Bowie by Sukita” è divisa in otto sezioni, ciascuna delle quali è introdotta da un pannello esplicativo in cui il fotografo giapponese si rivolge direttamente al pubblico. Una modalità piuttosto riduttiva per un percorso espositivo del genere che meritava supporti più “perfomanti”. In primo luogo perchè non giustifica il costo di € 10,00 del biglietto – ma in Italia, purtroppo, il prezzo della cultura è sempre alto – e poi perchè non soddisfa le esigenze di chi, non essendo un cultore di Bowie o di Sukita, è spinto dalla mera curiosità.
Ma questa, per fortuna, è l’unica pecca.
In compenso, le foto sono eccezionali. A partire dagli scatti del 1972 di Marc Bolan dei T.Rex, il primo grande fenomeno di massa musicale – dopo i Beatles – la cui fama erra arrivata fino in Giappone.
Sukita racconta che dopo quattro ore di intenso lavoro con Bolan, si concede una passeggiata per le strade di Londra e la sua attenzione viene attratta da un manifesto che ritrae un tizio con una con una gamba sollevata in aria. Il tizio in questione è David Bowie e il manifesto promuove un suo concerto che si tiene alla Royal Festival Hall.
Tutta Londra conosce David Bowie. Tranne Sukita che decide comunque di andare al concerto.
Qualche tempo dopo, grazie a Yaski “Yakko” Takashi, una collaboratrice dello stilista giapponese Kansai Yamamoto, Sukita riesce a mettersi in contatto con il management di Bowie e, dieci giorni prima del lancio di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars al Rainbow Theatre, riesce a ottenere il primo servizio fotografico.
Arriviamo al 1973. Bowie va a New York per lanciare Ziggy Stardust al Radio City Music Hall e Sukita lo raggiunge nella Grande Mela con Yakko per un servizio fotografico negli studi della RCA.
A metà degli anni ‘70 Bowie va in Giappone per promuovere “The Idiot”, il primo disco solista di Iggy Pop. Sukita li incontra a Tokyo e li fotografa nello studio di un amico.
Nel 1977, con la pubblicazione di “Heros”, Bowie chiede una sessione fotografia a in studio, a Tokyo. Con indosso solo giubbotti neri, Sukita immortala il duca bianco in quella che sarà la copertina definitiva dell’album.
“Arigato. David Bowie-san”, si legge su una parete dell’ultima sala.
“Arigato”, letteralmente, significa “questo è molto difficile da ottenere”. Nella cultura nipponica, infatti, “grazie” è una parola che svela una moltitudine di sentimenti, soprattutto quello del perdono, perché si è consapevoli che quello che si riceve sottrae qualcosa a chi lo dona. Il compito di chi riceve, quindi, è non dare per scontato quello che si è ricevuto, ma rispettare il dono, qualsiasi esso sia, e custodirlo con cura. E Sukita, nei suoi cento scatti, ci fa vede come si fa.