La storia di Suor Giulia: religione ed eros nella Napoli del ‘600

Uno scandalo la cui eco giunse in tutto il resto d’Europa

Questa è la storia di Suor Giulia de Marco, una suora francescana il cui scandalo nel 1611 travolse la città di Napoli e coinvolse poi in tutto il resto dell’Europa. In quegli anni, il concetto di emancipazione, era parecchio distante dal mondo femminile. Le donne venivano educate per divenire mogli e madri esemplari. In particolare, per tutte, c’era una certa attenzione alla fede e all’istruzione religiosa.

Nel ‘600 molti erano i monasteri femminili presenti a Napoli e di storie e storielle se ne sentivano e raccontavano di tutti i colori, ma la vicenda di Suor Giulia è rimasta imbattuta. Di origini molisane, Giulia nasce nel 1575 da una famiglia di braccianti. Dopo la morte del padre, la giovane ragazza si trasferisce a Napoli, dove si innamora di uno staffiere del quale resta incinta. Rimasta sola, Giulia decide di esporre il bambino alla Ruota dell’Annunziata. Di lì a poco, la giovane donna si dedicherà con passione e dedizione alla vita spirituale, tanto da attirare l’attenzione della famiglie. Queste l’accoglievano con gioia, in quanto secondo una credenza popolare, ospitare la cosi detta “monaca di casa” faceva acquisire meriti presso Dio. Ma la castità di Giulia ebbe vita fino a quando non incontrò il nuovo padre spirituale, Aniello Arciero. I due ben presto divennero amanti ed iniziarono ad utilizzare il loro corpo come mezzo attraverso il quale restituire la purezza.

Con l’aiuto anche dell’avvocato Giuseppe de Vicariis, noto per la sua bravura nell’arte della simulazione, Giulia e Aniello diedero vita ad una vera e propria congrega. Il simpatico terzetto elaborò una serie di teorie poco ortodosse, ma suggestive e accattivanti. Si trattava di vera e propria setta, giochi erotici misti a preghiere.

L’amore carnale non veniva considerato come un peccato, ma un tramite per il raggiungimento di Dio. Quindi l’atto sessuale poteva e doveva essere divulgato. Lo squilibrato avvocato promosse un percorso di fede e meditazione, fatto di giochi e pratiche erotici. Questo processo verrà definito “carità carnale”. Protagonista di questi incontri, era il corpo di Suor Giulia.

In parole povere, la donna ritenuta oramai santa, metteva a disposizione se stessa. L’adorazione del suo corpo e l’accesso alle sue parti intime, rappresentava un atto di carità che restituiva ai fedeli la vera purezza. Nelle stanze di Palazzo Suarez è lì che la “santificazione” avveniva. La porta si chiudeva, le candele con un soffio venivano spente e le pratiche avevano inizio. Riunioni di donne e uomini, di egual numero, che si accoppiavano tra di loro. Dell’organizzazione facevano parte politici aristocratici, vescovi, frati e suore.

Lo stesso viceré spagnolo Lemons con la moglie e l’intera corte, partecipavano agli incontri. Un rito quasi pagano potremmo dire. Il culto della prostituzione sacra, infatti, era già presente in Oriente, in Grecia, e praticato dalla stessa dea dell’amore, Afrodite, nel suo tempio. Suor Giulia era diventata una donna importante a Napoli, ma tutta questa fama servì a ben poco, quando cominciarono i primi sospetti. Il numero di presenti e l’enorme successo della suora, catturò le gelosie anche della Suor Orsola Benincasa, definita la “Santa Viva”, che pensò bene di scagliarle contro l’ordine dei Teatini.

Con l’intervento dell’Inquisizione, era giunta la fine dello scandaloso terzetto. Giulia, il parroco e l’avvocato subirono un lungo processo a Roma nel 1615. La donna confessò che di caritatevole e carismatico aveva bene poco. Tutto ciò che faceva avveniva semplicemente per provare un piacere fisico. Finirono tutti e tre i loro giorni nelle prigioni di Castel Sant’Angelo.

Giulia de Marco ha scritto una delle pagine più oscene della Napoli del ‘600. Ancora oggi, la donna è raffigurata su alcune edicole votive ed ancora oggi ci si domanda se Giulia fosse unicamente un ex francescana focosa e scandalosa o se in lei vivesse anche una pia donna.

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