La Coldiretti scende in campo per sostenere l’iscrizione dell’arte della pizza napoletana nella lista Unesco dei patrimoni immateriali dell’umanità e tutelarne così l’identità.
Una insolita sfida quella organizzata dalla Coldiretti al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio per sostenere l’iscrizione della vera pizza napoletana nella prestigiosa lista facendo preparare da una parte la prima pizza taroccata con “Pomarola” del Brasile, olio “Pompeian” del Maryland e “Zottarella” venduta in Germania, ma anche pelati San Marzano fatti in California, che ha perso rovinosamente il duello con quella originale preparata utilizzando gli ingredienti di chiara origine italiana.
Infatti, iscrivere la pizza nel patrimonio Unesco se da una parte rappresenterebbe il giusto riconoscimento per un piatto considerato tra i più conosciuti ed apprezzati della cucina italiana, dall’altra salvaguarderebbe questa specialità dagli atti di pirateria alimentare e di appropriazione indebita dell’identità, come sottolinea il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo che ricorda come la pizza napoletana dal 4 febbraio 2010 è stata ufficialmente riconosciuta come Specialità tradizionale garantita dall’Unione Europea, ma ora l’obiettivo è quello di arrivare ad un riconoscimento internazionale di fronte al moltiplicarsi di atti di pirateria alimentare e di appropriazione indebita dell’identità.
“Il riconoscimento dell’Unesco avrebbe un valore straordinario per l’Italia che è il Paese dove più radicata è la cultura alimentare e la pizza rappresenta un simbolo dell’identità nazionale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “è chiaro che garantire l’origine nazionale degli ingredienti e le modalità di lavorazione significa difendere un pezzo della nostra storia, ma anche la sua distintività nei confronti della concorrenza sleale”.
Troppo spesso viene servito un prodotto preparato – spiega la Coldiretti – con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale. In Italia sono stati importati nel 2013 – spiega la Coldiretti – ben 481 milioni di chili di olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20 per cento nei primi due mesi del 2014.
Un fiume di materia prima che – sostiene la Coldiretti – ha purtroppo compromesso notevolmente l’originalità tricolore del prodotto servito nelle 50mila pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati.
Nei giorni scorsi anche l’ex ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio si era fatto portavoce della richiesta del riconoscimento Unesco per la pizza napoletana consegnando a Lucio Alberto Savoia, Ambasciatore e Segretario generale Unesco le quasi 30 mila firme raccolte da inizio settembre 2014 su Change.org, la più grande piattaforma di attivismo online.