L’opulenza di un’antica città nata nel 3000 a.C. che attraversa i secoli fino al Medioevo
Cinquemila anni di storia, al Museo Archeologico di Buccino c’è una collezione così grande e interessante che gli appassionati di archeologia non possono proprio perdersela.
Il Museo si trova in quello che fu l’ex convento degli Eremitani di Sant’Agostino, in piazza Municipio a pochi passi dal centro storico del paese che, da diversi anni, è Parco Archeologico. È intitolato a Marcello Gigante, filologo, grecista e insigne papirologo che – tra le altre cose – istituì la cattedra di Papirologia all’Università Federico II di Napoli e, prima ancora, si adoperò affinché l’Università di Trieste riconoscesse la laurea honoris causa al poeta Giuseppe Ungaretti.
L’esposizione si snoda su una superficie di ben milleseicento metri quadri. Il filo del racconto è lungo, si parte dalle testimonianze a cavallo tra l’età della pietra e quella del bronzo per poi giungere fino ai carteggi altomedievali.
I primi reperti sono riferibili agli insediamenti che gli studiosi ritengono appartenenti, culturalmente, a quella che è stata definita la civiltà di Cetina. Quegli uomini, con ogni probabilità, giunsero in Lucania da quella che è l’attuale Croazia o, comunque, l’epicentro culturale di questi gruppi è da rintracciare nell’area dei Balcani. Accanto ai reperti, le ricostruzioni – dipinte su pannelli – che raccontano, visivamente, quella che sarebbe stata la vita, i villaggi e le cerimonie (tra cui quella funebre) dai primissimi nuclei fino alla Civiltà di Valle del Platano che segna un distacco e lo sviluppo di una cultura autoctona nell’area oggi di Buccino.
Lo sviluppo di quell’antica città si dovette soprattutto allo sviluppo della produzione di vasellame in terracotta prima e ceramica poi. La produzione artigianale fu così peculiare e ricca che arrivò a sviluppare oggetti destinati a diventare iconici e rappresentativi di un’identità culturale. Si tratta delle nestoris, i vasi dotati di grossi manici squadrati che, nel corso dei secoli, verranno prodotti, venduti, scambiati e commerciati dagli artigiani del posto che, via via, svilupperanno motivi decorativi sempre più complessi. Dagli intrecci floreali alle stilizzate forme zoomorfe (soprattutto riferibili al gallo che, poi, diventerà il simbolo di Buccino), i colori e i simboli sacri, come le ruote solari fino alle scene mitiche che ricalcano ora la cultura ellenica ora quella etrusca, sospeso tra Gorgoni greche e le Lase alate tuscie. Anche la forma va evolvendosi, diventando sempre più elegante. Sono documentati, inoltre, gli scambi commerciali con la vicina Paestum raggiungibile, a quell’epoca, con una giornata di cammino.
A Volcei, però, l’artigianato e il commercio non si limitarono al vasellame. C’era ricchezza e opulenza. Le tombe dei principi e dei guerrieri, con le loro grosse nestoris e i piccoli e costosissimi buccheri, le armi in bronzo, ferro, restituiscono il quadro di clan importanti e prestigiosi. Ma il più affascinante dei ritrovamenti è, sicuramente, quello che gli archeologi fecero scoprendo, in località Santo Stefano, la tomba della Signora degli Ori. Doveva avere circa 25 anni quando morì, intorno al VI secolo a.C. Fu potente e ricca, forse una sacerdotessa, sicuramente emancipata. Il corredo funebre composto da un’intera parure d’oro lavorato finissimamente, collane d’ambra al cui cospetto quelle rinvenute nelle altre tombe (pur di dimensioni più che rispettabili) impallidiscono. Avori intarsiati e un anello, d’ambra, in cui è incisa la Venere con l’amorino. Un piccolo capolavoro dell’antichissimo intarsio. E ancora: uno strigile d’argento (strumento utilizzato per pulire la pelle, specialmente dai lottatori che si ungevano per sfuggire alle prese avversarie), specchi, monili, anelli e vasellame raffinatissimo.
Difficile, anche per queste peculiarità culturali, incasellare i Volceiani nelle altre popolazioni italiche che abitarono la parte meridionale della Campania e la Lucania. Infatti, Tito Livio parlò di Volceianenses come di un’entità statuale e nazionale che si distingue dai Sanniti e dagli Irpini.
La potenza volceiana rimase in piedi anche quando Roma giunse qui. Le battaglie, gli scontri, gli incendi e la vittoria delle legioni che rifondarono la città non riuscirono a demolire del tutto la ricchezza di quelle genti. Che, in età imperiale, si ritrovarano con importanti famiglie senatoriali che diedero all’Impero persino un’Augusta, Bruzia Crispina che poi fu ripudiata e uccisa dal marito Commodo.
Nel Museo è ripercorsa, tra iscrizioni ricostruite e riportate, nei plastici l’intera evoluzione che ebbe il territorio durante i lunghissimi anni della dominazione romana che mostrò il suo lato brutale quando Volcei scelse di mettersi dalla parte di Annibale.
Tra le numerose epigrafi, c’è l’Elogio di Polla (si perdoni la banalizzazione: una sorta di interessantissimo stradario ante litteram) a cui si deve l’interpretazione al genio del filologo Mommsen, lo stesso che decifrò anche la Stele Eburina. Numerosissime le iscrizioni funebri che attestano la presenza di gentes potenti e ricche, di gusto raffinatissimo, tra cui quella di Insteia Polla che darà il suo nome alla città del Vallo di Diano. Con la caduta di Roma, decade anche Volcei. Si apre il Medio Evo, con il paese che cambia nome e diventa Pulcino. Ma questa è un’altra (lunga) storia.
ORARI DI APERTURA:
Il Museo è aperto dal martedì alla domenica dalle ore 9 alle 13 e dalle ore 15 alle 19.
Per le visite guidate si consiglia la prenotazione al numero 3393119217.