Luigi Staiano del Triotarantae, racconta un ritmo che travolge
“La musica popolare si crea con elementi semplici, è fatta di strutture semplici ed è eseguita da gente semplice”, così racconta la musica popolare campana Luigi Staiano del Triotarantae, gruppo folk napoletano nato dieci anni fa.
La musica popolare è accompagnata da strumenti caratteristici e popolari a percussione, come le tammorre, e affonda le radici nei secoli passati con le villanelle alla napoletana, l’opera buffa, fino a quando non viene innalzata a istituzione cittadina con un riconoscimento all’interno delle feste religiose. Oggi l’irresistibile forza della musica popolare continua a trascinare col suo ritmo coinvolgente, fatto di suoni ritmati e cadenzati, da cui è difficile sfuggire. Il movimento e la forza del ritmo afferra lo spettatore che è costretto da un’energia positiva a muoversi, assecondando la musica. Feste popolari e religiose, di lunga storia e seguito, permettono che la tradizione campana della musica popolare venga ancora stimata ed apprezzata da un pubblico vasto e variegato, di cui il gruppo Triotarantae si fa importante portavoce su tutto il territorio regionale e nazionale.
Attualmente il Triotarantae è in formazione allargata con Luigi Staiano fisarmonica e voce, Mimmo Scippa chitarra battente e voce, Emidio Ausiello con tamburi a cornice del mediterraneo, set di batteria. Al gruppo si accompagnano due danzatrici Mariagrazia Lettieri e Raffaella Vacca, e Peppe Quiriti al basso elettrico.
“A volte le cose accadono come se ci fosse un disegno già abbozzato da qualche parte e noi fossimo solo matite che lo ricalcano e lo portano alla luce” così esordisce Staiano raccontando come nasce il Triotarantae: “ero stato chiamato a suonare in un agriturismo in provincia di Caserta, non conoscevo gli altri musicisti. Non volevo neppure andarci, ma mi convinsi, ed una volta arrivato sul posto mi ritrovai da solo. Dopo un po’ vidi arrivare un signore con i capelli bianchi e una scatola di legno tra le mani, tipo quella dello spumante da tre litri. Mi chiese se dovessi suonare anche io e si presentò come Mimmo Scippa, suonava chitarra battente e cantava. Anche io mi presentai dicendo che suonicchiavo la fisarmonica e cantavo.”
Fu cosi che ebbe inizio il trio, suonando seduti su una balla di fieno: “le nostre voci si incastravano perfettamente come mai era capitato, facevamo canti e controcanti e persino armonie senza che si fosse fatta nessuna prova, conoscevamo lo stesso repertorio, insomma una magia”. Ed è questa la magia che trasmette la musica popolare, un brivido, un’elettricità che corre dentro rivitalizzando le emozioni.
Da quella prima sera, ci fu una seconda occasione per suonare insieme. Staiano venne chiamato per un concerto nella Certosa di San Martino a Napoli, ed anche per quella serata aveva timore per gli elementi del gruppo che non conosceva, soprattutto il terzo musicista di grande professionalità e talento.
“Non dimenticherò mai la mia prima volta che entrai nel refettorio di San Martino, bellissimo, maiolicato e li ad aspettarmi: Mimmo Scippa ed Emidio Ausiello, che mi chiese di fargli sentire qualcosa. Con il cuore a mille cantai un brano della Nccp “Aggio girato lu munno“. Emidio mi fermò dopo la seconda strofa dicendo con tono scherzoso a Mimmo ‘Te ne puoi andare’. Ma Mimmo non se ne andò, anzi, era nato il Triotarantae. Mi fecero sedere al centro, dandomi importanza, li ringrazierò sempre per questo. Mi hanno sempre dato energia e fiducia e io ho ricambiato impegnandomi al massimo. Senza di loro non so se avrei continuato a suonare e a cantare”.
Da quel giorno sono passati 10 anni e il Triotarantae conta oggi centinaia di concerti, tantissime piazze, teatri, grandissime soddisfazioni, tanti e tanti litigi costruttivi, due dischi (Tuoni e lampi e Canti migranti distribuiti dalla Feltrinelli), collaborazione con artisti affermati come Giovanni Maurielli, Antonella Morea, Patrizio Trampetti, Marcello Colasurdo, Mbarka Ben Taleb e tanti altri.
Abbiamo chiesto a Luigi Staiano cosa significa per lui la musica popolare: “nella sua semplicità racchiude un mondo di amore, sofferenze, rivoluzione, amicizia, storie di uomini e donne, di popoli, di vita. La semplicità della musica popolare ti porta l’anima allo scoperto, l’anima trova il suo giusto valore, la sua giusta collocazione, l’anima e la musica stessa. Senza cuore e anima non si può suonare e danzare il popolare. Ognuno di noi riscrive il proprio copione, la propria storia, trasporta nella musica se stesso con tutto il vissuto della propria esistenza, e allora solo cosi la tradizione si rinnova, si mantiene viva”.