Dall’isola azzurra all’area flegrea, dal Vesuvio a Napoli: poeti, imperatori e matrone tutti pazzi per la Campania
Baia la trasgressiva, Oplonti la “borghese”: la dolce vita e le vacanze al tempo dei romani continuano ancora oggi ad affascinare gli studiosi e gli appassionati di cose antiche.
Quando il sole iniziava a picchiare duro, era giunto il tempo di lasciare Roma, la sua caoticità urbana e (soprattutto) la sua calura. Mentre gli eserciti iniziavano (o proseguivano) le guerre ai confini, le belle matrone, i ricchi possidenti, i raffinati artisti si contendevano un posto all’ombra delle più famose e prestigiose località turistiche dell’epoca.
Su tutte, spicca Baia dove i vacanzieri potevano concedersi il lusso di bagnarsi a mare oppure di lasciarsi curare dalle acque solforose nelle terme. In poco tempo, Baia divenne il luogo più in della “movida” estiva romana. Per dirla in termini contemporanei, a costo di essere tacciati d’eresia, il centro flegreo era un posto vip, a metà tra Saint-Tropez e Formentera.
Era frequentata da gente importante e, soprattutto, dalle belle donne. Come Clodia, la Lesbia di Catullo (Odi et amo…ricordate?). Cicerone, per difendere dalle sue accuse l’amico Celio Rufo, la trasformerà nel prototipo della donna ricca, bella e sfrontata, quella che per combattere la noia oltrepassa spesso e volentieri il limite del pudore e della decenza, interessata più alle orgie e allo sfarzo che alle virtù muliebri. E, per corroborare la sua tesi, racconta dei suoi trascorsi vacanzieri a Baia.
Non è la sola testimonianza del genere, tutt’altro. Marziale dedicò un epigramma a tale Levina, una proba e dignitosa matrona della Roma bene che partì da casa come una Penelope e ne tornò, dopo il soggiorno a Baia, come una voluttuosa e fatale Elena. Fu per questa sua fama di luogo libertino e trasgressivo che Properzio, poeta elegiaco latino, scongiura la sua amatissima Cinzia di non cedere alle lusinghe del dolce soggiorno flegreo: “Spiaggia ostile da sempre alle fanciulle pudiche. Morte alle acque di Baia, alla vergogna d’Amore!”.
Lo splendore raffinatissimo di Baia durò per secoli, finché un gruppo barbaro di Vandali, sbarcati alla foce del fiume Garigliano, depredò e saccheggiò le ville patrizie del suo territorio.
Al pari di Baia, secondo il geografo Strabone, era Napoli. Solo che, a differenza della convulsa vita mondana puteolana, in riva al golfo di Partenope c’era l’agio di una maggiore tranquillità, di una qualità della vita tanto migliore che finì per convincere numerosi romani a trasferirsi lì. Tra i più famosi, sicuramente c’è il poeta Virgilio che, alla sua morte, divenne un vero e proprio nume tutelare dell’antica Neapolis, venerato fino al Medioevo.
L’antica Campania Felix divenne così, nei secoli, il luogo aristocratico per eccellenza. Lo testimonia, ad esempio, la famosa villa di Poppea, nell’antica Oplonti, oggi inserita nel patrimonio Unesco. Si tratta di una struttura imperiale, raffinatissima, di gran pregio. Si è ricollegata la proprietà della villa a Poppea Sabina sulla base di un graffito che menziona Beryllos, personaggio della corte neroniana e dalla presenza del nome del servo di Poppea, Secundus, su un’anfora vinaria e su un piatto. Secondo un’altra interpretazione appartenne a M. Pupius Piso Frugi Calpurnianus, console nel 61 a.C.
Tutta l’area vesuviana, da Ercolano a Oplonti, passando per Pompei, era frequentatissima dai ricchi possidenti che, compatibilmente con i loro impegni e le loro sostanze, si deliziavano tra le terme, i bagni e i teatri, godendosi la vita artistica del territorio che, in quei tempi, era davvero all’avanguardia.
Poppea fu la seconda moglie dell’imperatore Nerone, che amava alla follia la raffinatezza di Napoli e della Campania, preferendole perciò a Roma. Prima di lui, un altro imperatore aveva scelto la Campania. La storia di Tiberio, secondo imperatore di Roma che successe ad Ottaviano Augusto, è intimamente legata a Capri, dove scelse di soggiornare a Villa Jovis. Degli otia imperiali di Capri, abbiamo tantissime testimonianze. Spesso dipinti a tinte a dir poco fosche, che parlano di stravizi e perversioni. Testimonianze, però, che paiono da ricollegare più alla feroce dialettica politica, a una sorta di damnatio memoriae letteraria che alla ricostruzione storica fedele.