Viaggio al Parco Archeologico di Volcei, tra la storia antica e la (difficile) modernità
Buccino non è un paese banale. Lungo le stradine che innervano il suo centro storico ci sono le tracce di un passato antico che nasconde, a sua volta, il mistero di un insediamento che è nato praticamente insieme ai primi uomini che misero piede qui.
Buccino è il paese delle due città. Si sente e si respira il retaggio dell’antica Volcei, si avverte – quasi fisico – il profondo solco che lo scorrere dei secoli in una comunità, ha consumato uomini, donne, generazioni e storie innestandole, profondamente, alla terra.
Il centro storico di Buccino è, oggi, Parco Archeologico urbano. L’impalco urbanistico è di chiarissima impronta romana, risalirebbe al VII secolo il primo nucleo direttamente riferibile a Roma nella zona che fu abitata dai Volceiani (che Tito Livio distingue quale popolo a sé rispetto a Sanniti e Irpini).
Ci si accede dalle porte che delimitavano e chiudevano, in un solco forte di mura, il nucleo della città. Dal lato di corso Garibaldi, dopo un dedalo in salita, si arriva a Porta San Mauro che è – con porta Consina cui, invece, si arriva percorrendo le strade che partono da piazza San Vito e dall’ex convento degli agostiniani che oggi ospita il Museo Archeologico (tappa che non può mancare nel vostro itinerario) – l’accesso al Parco. Tra le edicolette votive dedicate alla Madonna cui si votò il paese perché si narra che il ritrovamento di una sua statua salvò la città dalla peste, si attraversano gli edifici (molti dei quali abitati, tutt’oggi) che si alternano a vestigia del passato. Purtroppo, non sempre in ottimo stato di conservazione.
Ciò è dovuto al fatto che, per moltissimo tempo, locali e spazi non furono adeguatamente valorizzati ma si preferì utilizzarli per altri scopi. Alle tabernae di epoca romana ci si può affacciare, le terme giacciono ancora semisepolte e sono visibili solo grazie a grate e a un pavimento in vetro.
Poco distante, superato il labirinto di vicoli che da piazza Amendola portano fin lassù e dove trovò il suo buen retiro Stefano Brun, importante industriale campano a cui, negli anni ’20, si dovette l’illuminazione pubblica a Napoli e Caserta, c’è il Castello Normanno-Angioino. La sua costruzione risale al dodicesimo secolo. Rappresenta, ancora oggi, una testimonianza importante per comprendere il sistema difensivo che adottarono i primi dominatori dell’Italia meridionale in epoca medievale e dell’organizzazione baronale nelle aree interne della Campania. Dalla fortificazione si domina l’intera valle del Tanagro, ciò suggerisce l’estremo interesse strategico e militare che il Castello ebbe fino alla (rovinosa) caduta del ‘900 quando, abbandonato, fu utilizzato a discarica prima degli interventi tesi al recupero e alla sua valorizzazione culturale.
Il castrum fu costruito in un’area che nei secoli precedenti fu sacra. Si è ipotizzato che lì si trovasse l’auguraculum, il tempio in cui avvenivano le cerimonie sacre. Ancora visibile è un’iscrizione di epoca costantiniana che oggi chiameremmo catastale perché riporta l’elenco dei pagi e delle famiglie presenti nell’antica colonia romana.
Importanti testimonianze sono poi i resti del teatro romano e del Cesareum e soprattutto il complesso rupestre di Via Egito che ricollegano idealmente – per architettura e materiali utilizzati – ai grandi monumenti della Lucania.