Lo chef, nativo di Sant’Antonio Abate, gestisce il ristorante “I Gerani” insieme alla sua squadra e alla moglie Regina
Volendo fare una riflessione ponderata e concreta sulla Governance delle istituzioni ristorative, ovvero i locali Ristoranti (dove si trova ristoro dalle fatiche e dagli impegni giornalieri), mi viene da ragionare sull’epoca che stiamo vivendo, caratterizzata da non poche ristrettezze delle abitudini che fino a poco tempo fa hanno scandito le routine proprie del sabato sera in pizzeria e la domenica a pranzo fuori.
Giovanni Sorrentino, Chef nativo di Sant’Antonio Abate ma che vive a Gragnano, è stato così gentile da condividere con me la chiacchierata sulla riflessione dell’equilibrio dell’impresa ristorativa.
Sposato con Regina, con cui condivide non solo la vita matrimoniale e tre figli, ma anche quella professionale, Giovanni si descrive a sommi tratti: il viso sincero ed il sorriso regalato sempre a tutti lasciano trasparire l’arguzia, la forza e la passione di chi ne ha passate tante nella vita, e con tenacia e caparbietà ha saputo capitalizzare gli sforzi e le esperienze accumulate in giro per il mondo.
Ha tanti anni di gavetta alle spalle Giovanni, iniziati nei Tempi Sacri della ristorazione territoriale, alla Sonrisa di Sant’Antonio Abate, come allievo dello chef Andrea Cannavacciuolo (papà di Antonino), il viaggio in Francia a 18 anni, presso una Brasserie di Parigi dove apprende la cultura del buon cibo mondiale. Da qui in poi Giovanni sviluppa le tecniche e l’estro necessario per occupare i ruoli di chef di partita sui secondi di pesce nonostante la giovane età; quindi continua il suo lavoro con Gennaro Esposito alla Torre del Saraceno prima e alla corte di Alain Ducasse nella sua TRATTORIA TOSCANA. Nel 2006 fino al 2008 è in cucina della TAVERNA 18 di Michele Deleo; Angiolieri di Seano, Chalet D’Adrienne nella Svizzera Francese e varie esperienze a Roma, Montecarlo e Coste Smeralda lo maturano fino a guadagnarsi i gradi di chef di cucina.
Orbene, quando Giovanni si è seduto al nostro tavolo, ho avuto piacere nell’ascoltare una profonda riflessione sul momento particolare che stiamo vivendo e sull’effetto che si sta avendo sul comparto ristorativo. Intanto, ci è parso evidente che il mondo della ristorazione, acuito dalla fase storica e sociale odierna, stia trasformandosi in una sorta di circo, o meglio in uno show. Molti sono i giovani che si affacciano alle esperienze di cucina e magari vengono convinti da distorti messaggi dei media in cui gli chef vengono percepiti come star televisive, che possono arrivare a massimi livelli con pochi sforzi.
Questa riflessione ci spinge a fare una valutazione di sorta sulle conseguenze che le scarse professionalità possono apportare alle filiere ristorative, alle cucine ed al personale di sala. La mancanza di cultura dell’apprendere un mestiere prima e del sacrificio lavorativo poi, danneggiano talvolta irrimediabilmente il contesto lavorativo a cui il cliente si interfaccia:
“Il senso della ristorazione? E’ apportare una modifica nelle sensazioni dei clienti e lasciarle sbocciare in emozioni. Le persone devono sedersi al tavolo tranquilli, ma devono uscire dal ristorante felici. Questo è il senso per me” mi dice Giovanni, “se io che lavoro in cucina o in sala sento disagio o insoddisfazione, per insicurezza o poca dimistichezza con gli strumenti di lavoro o addirittura con il contesto, posso inficiare il processo lavorativo che ha come fine la soddisfazione del cliente, ma anche la realizzazione del team di lavoro” – commenta Giovanni – fare impresa sottende un enorme lavoro di Governance dei processi. Bisogna essere artigiani ma anche manager”.
Seduti al tavolo del suo ristorante “I GERANI” quindi, ordiniamo i piatti:
Entreè – Ricottina fritta su mortadella piastrata e pomodoro san Marzano all’erba cipollina
Si presenta con la mortadella che si impone con la tonalità e l’untuositá che la contraddistingue ma che non sovrasta la ricottina fritta, anzi, proprio la aromaticità della ricotta e le sensazioni boccali legate ad essa creano un binomio di sapori a cui fa la cornice il sugo San Marzano con la tendenza dolce e la leggerà acidità che tende ad equilibrare il saporito e l’untuositá. La territorialità delicata.
Totano piastrato con finocchi, arance e noci
Fresco, caratterizzato dalla croccantezza delle noci che si unisce all’aroma acre del totano alla piastra. La dolcezza delle arance insieme alla leggera acidità citrica bilanciano le durezze e le untuositá. I finocchi donano freschezza. Estivo con classe.
Cheviche di palamita marinata, gamberetti e zucchine
Qualcosa di veramente speciale: il filetto è tenero, cotto bene e la sua marinatura si sposa magistralmente con la tendenza dolce delle cipolle rosse a Julienne e la saporosa avvolgente della crema di zucchine. I gamberetti danno sostanza e pienezza e freschezza al boccone. Opera d’arte.
Filetto di San Pietro croccante con semi di lino e quinoa su zucchine aromatizzate all’aceto
Croccante ed invitante. È strutturato con una crosta di semi di lino e quinoa che donano al piatto una texture di presentazione davvero invitante. La crosta di semi dona corposità al morso e il filetto fritto bene è saporito e grassoso al punto giusto. La grassezza e l’untuositá vengono magistralmente bilanciati dalle zucchine all’ aceto e dalla vellutata di zucchine. Gusto e corposità.
Giovanni, in base alla propria esperienza, sostiene come uno dei principi per il successo imprenditoriale sia il lavorare in serenità con un team di collaboratori con cui ci sia una trasmissione reciproca di sicurezza e di condivisione di processi qualitativi della lavorazione.
Quindi più sei sereno e felice, più lavori bene e, cosa più importante, i clienti questo lo percepiscono.
Cheers!
a cura di Andrea Martone