La struttura conserva nella sagrestia due interessanti tele ed è dotata di un meraviglioso abside
Intorno al 350 d. C. il vescovo di Napoli San Severo fondò un monastero ed una chiesa dedicati a San Potito, il giovane martirizzato da Antonino Pio, a Largo Proprio di Avellino nel Terzo Decumano, via dell’Anticaglia.
Di fronte esisteva un palazzo di proprietà dei Caracciolo e tramite alcune successioni ereditarie, arrivò nelle mani di Porzia de Rossi, la madre di Torquato a Tasso che qui per un periodo di tempo abitò.
Seguendo la testimonianza di Carlo Celano, le suore erano così tante che “non riuscivano neanche a girarsi” così si rivolsero a Papa Paolo V per trovare altra sistemazione. Camillo Caracciolo ne approfittò per comprare il convento ed annetterlo alla sua proprietà.
Con i soldi guadagnati, le suore comprarono un “grazioso palazzo con giardino” sulla collina della Costigliola, fuori le mura della città, uno splendido territorio boschivo dove sorgevano isolate case ma soprattutto conventi. Dal 1610 trasformarono quindi il palazzo in un monastero.
Siamo sulla collinetta di fronte il Museo Archeologico, a ridosso dell’attuale Galleria Principe di Napoli, sorta sulle rovine delle Fosse del Grano, che erano dei magazzini che contenevano appunto il grano del Regno. Il monumentale tempio era dotato di un belvedere dove le religiose, senza essere osservate, potevano sbirciare nelle sottostanti strade, brulicanti di vita. Alla chiesa vera e propria di accede tramite una rampa di scale in piperno, che conduce ad un porticato che precede il portone di ingresso. All’interno, nella navata unica si aprono tre cappelle per lato, dove troviamo una Madonna del Rosario di Luca Giordano e una deliziosa e delicata Immacolata Concezione di Giacinto Diano.
La parte più bella è però l’abside, una vera e propria macchina da festa neoclassica, opera del 1780 di Giovan Battista Broggia. Al centro c’è il grandioso altare dai particolari puttini con ghirlande di fiori, mentre ai lati due statue in stucco di Santa Scolastica e di San Benedetto. La pala centrale descrive uno dei martirii cui fu sottoposto San Potito: gli fu conficcato un chiodo arroventato in fronte e il ragazzino fece provare lo stesso dolore ad Antonino Pio. È del 1654 ed opera di Nicolò De Simone. A destra e sinistra troviamo invece due tele di Giacinto Diano: a destra il Santo che abbatte gli idoli pagani cui volevano obbligarlo a sacrificare, a sinistra l’esorcismo di Agnese, figlia dell’imperatore. Questo gesto di carità non salvò Potito che alla fine fu decapitato.
Ma San Potito è una chiesa che riserva molte sorprese: se si percorre infatti il corridoio a sinistra dell’altare maggiore ci si ritrova nell’antica sagrestia, che conserva due tele davvero interessanti: la Madonna tra i Santi Antonio e Giuseppe, con anime del Purgatorio di Pacecco de Rosa e la movimentata Adorazione del Sacramento di Domenico Mondo, caratterizzata dalla presenza di angeli, Santi e devoti che si infiammano di amore e ardore di fronte l’ostensorio.