Napoli e i suoi artisti tra i corridoi della Pinacoteca Brera

Tour alla scoperta dei capolavori in esposizione permanente nel museo milanese

Un autoritratto di Luca Giordano“Cristo e la Samaritana al pozzo” di Battistello Caracciolo, ma anche alcune opere dello spagnolo, seppur napoletano di adozione, Jusepe de Riberia, e poi Salvator Rosa e il Cavallino.

Sono davvero tante le tele di espressione caravaggesca e non, realizzate da artisti napoletani, che si possono incrociare aggirandosi nelle sale della Pinacoteca di Brera di Milano.

Il museo, che espone una delle più celebri raccolte di pittura veneta e lombarda, conserva anche importanti pezzi di altre scuole della penisola, offrendo, di fatto, un percorso espositivo che spazia dalla preistoria all’arte contemporanea.

Gli esempi di scuola partenopea custoditi nella Pinacoteca di Brera ruotano intorno al genio di Caravaggio, di cui si può ammirare il dipinto olio su tela “Cena in Emmaus” (l’altro è conservato alla National Gallery di Londra). Dal Merisi deriva la ricca e esuberante scuola che vanta in Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, uno dei massimi protagonisti della pittura del Seicento, come testimonia il dipinto dal titolo “San Gennaro esce illeso dalla fornace”, custodito nella Cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo di Napoli.

La pinacoteca milanese conserva due sue opere, la “Meditazione di San Girolamo”, che è uno dei soggetti particolarmente cari alla produzione di Ribera, attualmente non esposto, e il “Cristo deriso e coronato di spine” che si trova nella sala XXIX, anche se si pensa che tale opera sia una copia di bottega da un originale smarrito.

Sempre nella sala XXIX è custodito il capolavoro di un altro seguace di Caravaggio, il napoletano Battistello (Giovan Battista Caracciolo) dal titolo “Cristo e la Samaritana al pozzo” che per lungo tempo, nonostante fosse siglato “GBC”, era stato attribuito proprio al Merisi. Il dipinto è realizzato su una tela di sacco in canapa, materiale utilizzato dai caravaggeschi napoletani, il che fa supporre che l’opera sia stata eseguita a Napoli, ma il legame con dipinti di Battistello conservati al nord fanno propendere che il quadro sia poi stato inviato nell’Italia settentrionale, forse a Genova, dove le opere dell’artista erano ricercate e dove soggiornò.

Allievo dello Spagnoletto fu Luca Giordano. Di lui si racconta che fosse il padre, che viveva nella misera, a sollecitarlo a lavorar presto e molto, dicendogli “Luca fa presto“, un motto rimase unito al nome del pittore. Napoli, Roma e Madrid sono le tre città che conservano la gran parte delle sue opere. Nella Pinacoteca lombarda è possibile ammirare tre sue opere: “Autoritratto in veste di chimico o alchimista”, giunto a Brera nel 1855, che richiama l’uso in voga tra gli intellettuali napoletani e utilizzato anche dallo stesso de Ribera; la “Sacra Famiglia venerata da Sant’Antonio da Padova”, dipinto eseguito probabilmente nel corso dei suoi soggiorni a Firenze e a Venezia, in cui il tratto di Ribera si fonde con un pittoricismo barocco che Giordano apprende da Pietro da Cortona; per finire, “Ecce Homo”, un’opera giovanile che si ispira alla pittura veneziana del Cinquecento e alla xilografia della Grande Passione di Albercht Dürer.

Sono considerate equidistanti, in termini stilistici, fra Caravaggio e Federico Barocci, le opere di un altro pittore napoletano, Bernardo Cavallino, del quale la Pinacoteca di Brera custodisce la “Strage degli Innocenti” e l’“Immacolata”.
La “Strage degli Innocenti”, che faceva parte della collezione Perrino di Napoli, attesta come Cavallino abbia avuto come punto di partenza il caravaggismo interpretato da Artemisia Gentileschi e Vouet, ma sia poi stato indirizzato dall’Erodiade di Rubens e dalle opere di Van Dyck verso un linguaggio pittorico più ricco e una gamma cromatica più preziosa. L’“Immacolata Concezione di Maria”, che si celebrava a Napoli già nel IX secolo, fu un tema spesso affrontato da Cavallino. L’olio su tela rappresenta l’immagine “ufficiale dell’Immacolata”: una giovane donna dall’abito candido, il mantello blu, le mani giunte in preghiera davanti al seno, iconografia dettata dallo spagnolo Francisco Pacheco.

Vicino al maestro Luca Giordano, ma anche attento all’arte di Francesco Solimena, si dimostra Nicola Malinconico. Del pittore napoletano tardo-barocco possiamo ammirare,  nella Pinacoteca di Brera, i bozzetti preparatori di due delle dodici tele eseguite per la basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo. Nella sala XXXIV si trovano “Il trasporto dell’Arca Santa” e “Giosuè ferma il sole”.

Nella stessa sala si trovano anche due bozzetti preparatori firmati da Francesco Solimena: “L’incontro di Ratchis, re dei Longobardi e di papa Zaccaria durante l’assedio di Perugia” e “San Villibaldo chiede la benedizione di papa Gregorio III prima di recarsi ad evangelizzare i Sassoni”. I bozzetti erano preparatori alla decorazione della cappella di San Carlomanno (che accoglieva le reliquie del figlio di Carlo Magno e fratello di Pipino il breve) nell’abbazia di Montecassino, distrutta in seguito dai bombardamenti del 1944, che prima vennero conservati nella chiesa di San Giorgio a Venezia e poi furono scelti per la Pinacoteca dal commissario per le requisizioni veneziane, Pietro Edwards.

Personaggio eterodosso e ribelle dalla vita movimentata fu Salvator Rosa, pittore partenopeo molto attivo a Napoli, Firenze e Roma, che realizzò a Milano “La Madonna del suffragio”. Il dipinto era conservato in San Giovanni Decollato alle Case Rotte, sede della confraternita dei Disciplini, un sodalizio di “confortatori” il cui scopo era di assistere i condannati a morte prima e durante l’esecuzione. La scena drammatica e concitata, con il suo messaggio di ultima speranza di salvezza e redenzione, era appropriata per indurre i condannati al pentimento o alla rassegnazione. Il pittore napoletano cita tale opera in una lettera, consentendone la datazione fra il novembre del 1661 e il marzo successivo.

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