
Dalla preistoria ai Romani, l’irresistibile fascino del passato al Museo pestano
John G.S. Brinson, archeologo. Tenente dell’esercito americano, al seguito della spedizione angloamericana che sbarcò nell’area di Paestum, nel settembre del 1943. Quello sbarco passerà alla storia recente come Operazione Avalanche. Lui, invece, alla storia ci passerà come lo scopritore dell’antichissima civiltà del Gaudo, salvando una necropoli preistorica dal diventare una pista d’atterraggio.
La maestosità dei Templi di Paestum, la suggestione che nel corso dei secoli ha esercitato nei confronti di artisti e scrittori (tra cui Goethe), ha finito per riassumere nella grecità la natura del patrimonio storico della città pestana. Se è vero che i greci hanno lasciato un’impronta profondissima, l’importanza storica e archeologica di Paestum è legata al lascito che (anche) altre popolazioni, altre culture hanno consegnato alla posterità.
E questo lo si può capire benissimo se si visita il Museo Archeologico di Paestum. La struttura si trova proprio di fronte al Parco dei Templi. L’esposizione è curata e fornisce numerosi approfondimenti utili a contestualizzare tutte le fasi storiche e protostoriche vissute da questo territorio. Anche con l’ausilio di supporti video che ricostruiscono le vicissitudini ambientali e orografiche dell’Italia meridionale.
Dalla preistoria fino all’età romana e al Medioevo, passando per l’esposizione dei quadri (alcuni risalenti al ‘700) che ritraggono il panorama pestano. Il viaggio comincia proprio con gli antichissimi insediamenti, quelli scoperti – per primo – da Brinson. Le testimonianze delle antiche popolazioni, risalenti all’età Neolitica ed Eneolitica, in una collezione di armi primitive (piccoli pugnali in rame, frecce in pietra) e di altri oggetti, per lo più piccolo vasellame. Importante, ovviamente, il patrimonio che deriva dalle necropoli e dalle sepolture che ricordano molto da vicino insediamenti ritrovati a Eboli, a Buccino e nell’area interna della provincia di Napoli.
Paestum, nell’antichità, ha visto sul suo territorio l’arrivo di numerose popolazioni autoctone finché, dalla calabra Sibari, giunsero i coloni greci. Intorno al 600 avanti Cristo. Fondarono Poseidonia. Dovranno arrivare (un secolo dopo circa) i bellicosi Lucani, dall’interno, per dare alla città il nome che – latinizzato – porta ancora oggi. I guerrieri che parlavano la lingua osca, la chiamarono Paistom, da cui Paestum. Rispettarono l’impianto della città.
Quindi arrivarono i romani che la trasformarono in una colonia. Ai luoghi principali, dell’heroon (il santuario dell’eroe fondatore) e l’ekklesiasterion (il luogo dove si tenevano le assemblee pubbliche) aggiunsero l’anfiteatro. Oggi è visibile per metà; una è dentro il Parco, l’altra è ancora sepolta sotto l’asfalto della strada che costeggia i Templi. In mezzo, influenze etrusche, villanoviane, sannitiche, campane.
Il Museo scandisce i secoli di Paestum in una vasta collezione di reperti importantissimi. A cui si unisce la ricostruzione delle decorazioni del tempio di Nettuno. Tra le attrazioni principali c’è, ovviamente, la lastra della Tomba del Tuffatore. Tra le pitture murarie recuperate e ospitate al museo ci sono scene di guerra, di corse con le bighe, dipinti di animali (più o meno) sacri. Interessanti, poi, le statue fittili, votive e devozionali dedicate alla Grande Madre. Un culto antichissimo che attraverserà tutte le fasi del sincretismo culturale e religioso: diventa Hera Argiva, strizzando l’occhio alla mitologia della Dea Bianca e assumendo come suo attributo il Melograno. Un processo che non s’è certo arrestato con il cristianesimo che, come testimonia la Basilica Paleocristiana, attecchì con miracolosa rapidità in quelle terre antiche. Oggi la Madonna del Granato, a cui è dedicata un’importante chiesa a Capaccio, è ancora veneratissima.