L’architetto Tina Acone racconta il lavoro sulle navi romane di Piazza Municipio a Napoli
I nuovi rinvenimenti in Piazza Municipio a Napoli relativi al porto della colonia greca Neapolis vanno ad unirsi ad un lungo lavoro di ricerca archeologica che ha dato risultati stupefacenti per il mondo scientifico e di grande attrattiva culturale per il pubblico. Navi di epoca romana in buone condizioni di conservazione, con il fasciame, le ordinate, le chiodature, sono state rinvenute a partire dal 2004 ed oggi, a dieci anni di distanza, sono stati rinvenuti altri resti frammentari di una imbarcazione di epoca imperiale.
Il sito di Neapolis fondato tra la fine del VI secolo avanti Cristo e gli inizi del V si inserisce nella zona che va dall’acropoli di S. Aniello a Caponapoli a circa 65 metri sul livello del mare e giungeva nella zona dove ora ricadono le piazze Municipio e Bovio, creando una grande insenatura dove venne realizzato un porto che ha continuità di vita dalla fine del IV secolo avanti Cristo fino almeno al V secolo dopo Cristo.
Gli scavi archeologici e le campagne di carotaggio geoarcheologico necessari per la realizzazione delle stazioni della linea 1 della Metropolitana di Napoli hanno permesso di fare uno dei rinvenimenti più importanti degli ultimi anni in Italia.
Un grande lavoro di archeologia urbana è stato compiuto in perfetta sinergia tra Soprintendenza, Società private e professionisti specializzati, come ci ha raccontato l’architetto Tina Acone, che all’epoca lavorava per la Tecno In Spa di Napoli. Era il 2004 quando ricevettero l’incarico di effettuare il rilievo per mezzo di Laser Scanner 3d necessario a documentare il rinvenimento di due imbarcazioni in ottimo stato di conservazione ed una semidistrutta.
“La presenza di reperti lignei era già paventata – ci racconta l’Acone – per mezzo di carotaggi degli strati da indagare, che avevano restituito frammenti lignei. Si capì che in profondità dovevano esserci reperti lignei (verosimilmente relitti) per cui era necessario l’intervento di una équipe specializzata – siamo a 13 metri sotto l’attuale piano di calpestio corrispondente al fondo marino del porto di Neapolis”. Venne così coinvolta un’archeologa navale Giulia Boetto che seguì passo passo il rilievo che seguiva ogni strato rimosso, sotto la costante guida dell’archeologa Daniela Giampaola della Soprintendenza di Napoli.
Due dei relitti rinvenuti a nord del molo, perpendicolari tra loco, vennero forse affondati volontariamente, a giudicare dall’assenza di carico e dalle condizioni precarie dello scafo che presentava delle falle. Dunque si tratta di imbarcazioni ormai in disuso affondate perché inutilizzabili verso la fine del I secolo dopo Cristo. A questo momento corrisponde la costruzione del molo perpendicolare alla linea di costa realizzato con la palificata mantenuta da pietre calcaree messe in opera a secco.
Le due imbarcazioni di grandi dimensioni (11,7 metri e 13,2 metri) sono state estratte integre, mediante il sistema del guscio aperto elaborato nel cantiere delle navi di Pisa dalla Soprintendenza della Toscana e sperimentato e perfezionato per la prima volta a Napoli mentre la terza frammentaria è stata smontata e ogni pezzo catalogato per l’eventuale assemblaggio per l’esposizione. I legni sono stati immersi in una soluzione per eliminare i batteri presenti sulla superficie.
Dal rilievo laser scanner che ha comportato almeno un centinaio di scansioni – come spiega l’architetto Acone – è stato tratto il plastico in scala esposto nell’attuale Museo Stazione Neapolis, in cui sono conservati molti altri resti rinvenuti, come le anfore e altri oggetti perduti dalle imbarcazioni o gettati in mare nei secoli ed adagiati in quello che era l’antico fondale del mare di Napoli.
Altro grande tassello di studi affrontato è stato sicuramente chiarire quale fosse l’antica linea di costa, ricostruita proprio grazie a questo scavo, ci sono infatti nei pressi delle imbarcazioni anche le palificate del porto. Questi studi sono confluiti in una pubblicazione su “I relitti di Napoli e il loro contesto portuale” di Giulia Boetto, Vittoria Carsana e Daniela Giampaola.
Elemento particolare dello studio emerso all’epoca, fu la ricostruzione da parte dell’archeologa Boetto della particolare forma della prua confrontata con disegni e rappresentazioni storiche.
Una grande scoperta, insomma, a cui ha assistito personalmente l’architetto Acone che l’ha definita “una sensazione eccezionale, difficile da raccontare, stare con ‘i piedi nella nave’ è come camminare su un pezzo di storia”.