La Villa Romana di Ponticelli

La fattoria di Caius Olius Ampliatus sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Il territorio di Ponticelli, quartiere della zona est di Napoli collocato alle pendici del Vesuvio, sin dalle epoche più remote ha sempre goduto di un terreno fertile grazie anche alla presenza del fiume Sebeto, che scendeva direttamente dal Monte Somma.

Inoltre, le rilevazioni aeree effettuate in epoca moderna, hanno evidenziato una forte traccia della centuriazione romana, ragion per cui si è ipotizzato che anche in questo luogo i soldati, che avevano partecipato alle guerre in età sillana, più o meno nella seconda metà del I secolo a.C., avessero ricevuto degli appezzamenti di terra da coltivare, creando quindi nuclei familiari epigraficamente attestati in tutta l’area.

Una significativa testimonianza è offerta dalla villa rustica rinvenuta nel 1985, successivamente scavata nel 1987 e nel 2007, che si trova proprio a Ponticelli in via Decio Mure, angolo via della Villa Romana.

Un aspetto importante del rinvenimento della villa è quello di aver compreso che anche questo lato del Vesuvio fu interessato in modo importante dall’eruzione del 79 d.C. non solo dalla pioggia di cenere e lapilli, ma anche da nubi ardenti che arrivarono ad una temperatura di 500°C, tanto è vero che l’unico cadavere rinvenuto all’interno, precisamente nella cantina, presentava i pugni chiusi e il cranio bruciato a seguito della liquefazione del cervello.

Di questo cadavere sappiamo che era un uomo la cui vita era stata estremamente faticosa – tanto è vero che la struttura ossea presentava numerose fratture, segni di usura alle spalle e molti denti mancanti – e che al momento dell’eruzione indossava un anello con su inciso “Caius Olius Ampliatus”, probabilmente il nome di un soldato di origine picena stanziatosi nel territorio in seguito alle guerre sillane e che, in seguito, aveva ricevuto un pezzo di terreno da coltivare. Tuttavia, ancora oggi non è possibile accertare se l’uomo in questione fosse realmente Caius Olius o un suo servo che al momento gestiva questa unità produttiva completamente auto sufficiente in cui lavoravano anche servi e schiavi, come dimostra il rinvenimento di alcuni ceppi di catene all’interno della fattoria.

Partendo dal lato residenziale della villa, si incontrano subito il cubiculum e l’alcova, due piccole stanze dal pavimento decorato adibite al riposo. Poiché le stanze residenziali non sono numerose, è possibile immaginare che il nucleo familiare fosse molto ristretto e dalla vita sociale poco elevata.

In fondo troviamo la latrina e la cucina. Accanto a quest’ultima, un’ipotesi ricostruttiva prevedeva la presenza di una zona termale.

Vi era poi un grande salone da pranzo con una finestra che affacciava sul Vesuvio, mentre alle spalle si trovava un orto interno o un giardino decorativo.

Un portico centrale divideva la zona residenziale da quella produttiva, dove si incontrava l’oletum, l’aera predisposta alla spremitura delle olive, come testimoniano i resti di una macina. L’aia si affacciava su un grande terreno che, all’epoca dell’eruzione, probabilmente era adibito a pascolo o aveva subito danni per i numerosi terremoti che si alternarono prima dell’eruzione vera e propria.

Il percorso prosegue verso l’ingresso vero e proprio, con le due pietre laterali che portano ancora i segni dei cardini di imposta di un portone a due battenti, chiuso durante la notte da un’asta di ferro orizzontale. La strada su cui affacciava questo portone era il punto di confluenza delle vie che venivano da Ercolano e da Nola.

I carri arrivavano fin dentro al cortile dove avveniva il carico e lo scarico delle merci e da qui partiva un corridoio che conduceva alla cantina sotterranea.

Il pistrinum era piuttosto piccolo e conteneva un forno, atto alla cottura del pane solo per la famiglia, e una macina in pietra vulcanica costituita nella zona inferiore da una parte conica sotto e in quella superiore da una parte biconica dove si inseriva il grano per essere macinato.

La cella vinaria, che anticamente presentava una tettoia, comprende numerosi dolia, contenitori in terracotta di varie dimensioni atti a far fermentare il vino e in un numero così considerevole che si può ipotizzare anche la presenza di un vigneto.

Al momento, le visite alla villa sono organizzate dall’Associazione Culturale Econote in collaborazione con il Rotary Community Corp Napoli Est che gestirà il sito in accordo con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per il Comune di Napoli.

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