Un tesoro con aurei e denari d’argento, il tentativo disperato di salvare vita e ricchezze
Non c’è visitatore che passi per Pompei che non desideri vedere e conoscere le sorti delle vittime dell’eruzione che duemila anni fa la seppellì sotto una coltre di materiale vulcanico. Persone, cose, storie, attività, ricchezze sono rimaste sepolte per secoli, conservando gelosamente per sé il ricordo sbiadito del proprio passaggio sulla terra. Fino a che Pompei non venne riconosciuta e raccontata, amata e protetta ancora fino ad oggi. Tanti oggetti pompeiani e degli altri siti vesuviani che hanno condiviso la medesima sorte, sono oggi visibili in un contenitore straordinario, che stupisce il mondo intero per le sue antiche collezioni, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
In una delle sue sezioni, non sempre purtroppo aperta al pubblica, la sala della Numismatica, si conservano gioielli e monete rinvenuti nella Casa del Bracciale d’Oro di Pompei, una domus che prende il nome proprio da uno dei suoi eccezionali rinvenimenti, una armilla d’oro massiccio finemente decorata del peso di ben 610 grammi.
In questa casa decorata con alcuni tra gli affreschi più belli che l’antichità possa mai averci lasciato, trovarono la morte diversi individui. Rimasero sotto le macerie i fuggiaschi che tentavano di portare in salvo insieme alla vita anche un cospicuo bottino costituito gioielli, 40 aurei e 170 denari d’argento custoditi in una cassettina di legno e bronzo.
Erano rimasti nel sottoscala, vicini e terrorizzati da quanto accadeva e non riuscivano a spiegare con umane ragioni. Quelle lunghe e terribili ore dovettero essere terrificanti, inenarrabili, mentre tutti gli elementi naturali si rivoltavano contro la terra che sembrava non avere più pietà per i suoi figli. Era forse una famiglia, due persone adulte ed un bambino in tenera età. Al braccio di uno dei due adulti la preziosa armilla. Meraviglia tra le meraviglie, non soltanto per il suo considerevole peso, la verga termina con due teste di serpente con gli occhi composti da pietre preziose che reggono nelle fauci un disco con Selene, sulla cui testa compare un crescente lunare e sette stelle. La casa fu esplorata per la prima volta tra il 1758 e il 1763, ci si ritornò poi negli anni ’70.
Proprio da questa splendida dimora proviene una moneta che chiarisce la data dell’eruzione generalmente fissata al 24 di agosto del 79 d.C. sulla base della lettura delle lettere di Plinio. Il rinvenimento di un denario d’argento in cui compare l’indicazione del titulus IMP XV ricevuto da Tito non prima del settembre 79 offre un terminus post quem per la data della distruzione della città.