La Società di San Vincenzo de Paoli e i suoi volontari colorano la vita
Ditemi, non vi sembra che il cuore, organo propulsore del sangue, abbia la forma di una torre, e le sue vene superiori siano i suoi merli imponenti?
A Napoli questa torre appartiene ad un’antica porta della città, Porta Capuana ed ha un nome, si chiama, guarda caso, Torre Virtù.
Porta Capuana, assieme alle sorelle Nolana, San Gennaro e Alba, è una superstite. La città ne aveva anticamente ben nove ed oggi sono rimaste solo in quattro private, per lo più, della loro bellezza. Non hanno più marmi, non hanno più affreschi, non hanno più epigrafi.
Porta Capuana era l’antica Porta Campana, e risale al 1484.
Oggi, per ogni napoletano il suo nome, privato di antica gloria, è sinonimo di caos, disordine e degrado e lo è ancor di più da quando ci sono quegli interminabili lavori di riqualificazione della piazza legati al progetto UNESCO. Teatro universale, cosmopoli del nostro popolo… Qui non c’è nè notte nè giorno: a distanza di secoli risuonano attualissime le descrizioni di questo luogo come si leggeva nelle cronache antiche. E’ luogo di commerci, e cantieri, di turisti, pasticcerie, antenne e palazzi antichi, chiese e cupole illustri, basolati e ferrovie. La porta divide il suo spazio con un Castello (Castel Capuano) e con una chiesa, Santa Caterina a Formiello nella sua bellissima veste rinascimentale, protetta da un’edicola votiva con l’immancabile Santo patrono di Napoli, Gennaro.
Qui tutto è arte eppure tutto è degrado e povertà, ma qui il cuore – torre pulsa e tiene in vita questo corpo malandato e deforme cosparso di cicatrici. Ai piedi della Torre Virtù esiste un piccolo cancello superato il quale si intravede una minuscola porticina. In questo luogo, già dalle prime ore del mattino, è possibile vedere un composto gruppetto di persone in attesa di qualcosa: un caffè, un pasto ed un sorriso servito su un vassoio d’amore.
Chi li accoglie sono i volontari della Società di San Vincenzo de Paoli , Roberto e Giuseppe mi fanno da guida mostrandomi questo piccolo centro di accoglienza e di raccolta. E’ uno spazio esiguo con una cucina e piccoli ambienti, deposito di solidarietà collettiva. Ogni giorno i volontari preparano pasti per circa 40 persone che, a turno, ricevono la loro dose di umanità. Ovviamente non è solo una semplice mensa ma è concepita come un luogo-camino nata per riscaldare i cuori e allietare i palati cucinando spesso piatti tipici della tradizione napoletana: anche queste sono fiamme d’amore! Qui è casa. I volontari distribuiscono tutto il necessario, coperte, vestiti, scarpe, occorrente per l’igiene: distribuiscono abiti e sorrisi. La Società di San Vincenzo de Paoli è nata nel 1979 ed ha preso piede subito dopo il terremoto del 1980. Nasce dalle macerie di quel terremoto e sopravvive alle macerie dei tempi attuali.
Da queste parti esiste quell’ “umanesimo cristocentrico” tanto predicato dal Santo francese vissuto tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Lui è lì, non solo nei volontari ma anche nel bel murales all’interno della torre con il suo ritratto di uomo mansueto dai grandi occhi scuri. Sembra che lui stesso pronunci la bella frase collocatagli accanto “chi dona al povero non avrà mai bisogno”. Nel murales San Vincenzo de Paoli è bandiera d’amore che sventola tra i panni stesi di Napoli, i libri di Port’Alba, Porta Capuana (che è il suo cuore) e la guglia di San Domenico. L’ esempio della sua carità è fuoco che non si spegne. Spinta da “quel fuoco che agita gli animi”, seguo ancora Roberto e Giuseppe che mi accompagnano sulla torre, nel punto più alto e lì, più che toccare il cielo con un dito, quasi tocco l’enorme cupola della vicina chiesa di Santa Caterina, vedo il Duomo, San Martino, la stazione e la piazza sottostante formicaio di macchine e pedoni, finestre e balconi feriti.
Vedo tutto. Ho visto tutto. Respiro profondamente e da quassù mi rubo un pezzettino di azzurro, lo aggiungo ai miei colori e faccio mio il motto dei volontari: “dare una mano colora la vita“!
Anche il mio cuore, adesso, so che ha la forma di una torre.