
Fiumi, acquedotti, laghi: il patrimonio culturale nelle risorse idriche del territorio
Si chiamò Campania Felix per la feracità del suolo e dunque per la magnifica sua agricoltura. È chiaro, dunque, che la nostra fu (ed è, nonostante tutto) terra di fiumi, di ruscelli, di fonti e sorgenti. E l’acqua, giocoforza, che ha giocato un ruolo decisivo nella storia, millenaria, della Campania.
Lungo i fiumi i primi insediamenti, dal mare e su fin nell’entroterra, lungo il loro corso, gli etruschi, i greci hanno posto le loro basi. Li hanno ridiscesi i Sanniti fino a che, poi, giunse la dominazione romana. Erano linee di confine: il Volturno tra la Campania e i territori interni dominati dai Sanniti e che deve all’antico dio etrusco Vertumnus, il suo nome; il Sele che divideva l’area etrusca da quella della colonie greche e che, secoli dopo, fungerà da frontiera tra la Campania e la Lucania. Ai due fiumi erano riconosciute funzioni e virtù a dir poco soprannaturali. Il primo, per l’impetuosità delle sue acque, era ritenuto essere la “casa” del dio omonimo. Al secondo, invece, era ricollegata la proprietà di trasformare in pietra qualunque cosa ci si immergesse. In tempi più recenti, un fiume, il Garigliano, fece da confine tra l’antico Stato del Regno delle Due Sicilie e i possedimenti del Papa. Qui, nell’ottobre del 1860, si consumò una delle ultime battaglie tra l’esercito borbonico e le armate piemontesi.
Lungo le sponde di un altro fiume, poi, consentì a un’antica città di diventare un punto di riferimento commerciale di tutto rispetto. Era il Sarno e la città che da piccolo emporio si trasformò in una importante comunità attorno a cui gravitavano gli affari dell’agricoltura e dell’artigianato locale fu Pompei. Attorno a quel fiume, già dal Medioevo, fiorì l’attività tessile e agricola.
E un grande poeta napoletano del ‘500, Jacopo Sannazaro, nelle Piscatorie immaginò che i salici sulle sue sponde fossero state, in antico, delle Naiadi che a lui “azzurreggiante Re dell’onda vitrea” si rivolsero per aiuto ed egli le sottrasse allo stupro dei Satiri.
Non solo fiumi, però. In Campania si trova il lago che, nell’antichità, fu forse il più conosciuto e temuto. Si tratta del lago d’Averno dove fu individuata la porta degli Inferi e dove, cantò Virgilio, giunse Enea per incontrare il padre Anchise non prima, però, d’aver ottenuto vaticini dalla Sibilla di Cuma. E poi c’è il lago Laceno che richiama in Irpinia decine e decine di turisti ogni anno, sia d’estate che d’inverno per la sua vocazione sciistica. La strada per raggiungerlo è rimasta incastrata nella storia dello sport italiano, in particolare in quella di un tanto grande quanto sfortunato e amatissimo campione del ciclismo, Marco Pantani.
Ma la Campania è (anche) la terra dove l’acqua incontra il fuoco. Da Pozzuoli in giù, fino a Castellammare di Stabia, la città delle fonti termali che, ora, spera di veder riconosciuto dall’Unesco il prestigio e l’importanza delle sue acque. E giù, fino alla valle del Sele dove, a Contursi, le terme continuano a richiamare migliaia di turisti ogni anno e nella vicina Campagna dove il rapporto tra acqua e fuoco è diventato centrale nella storia stessa di una delle più antiche comunità campane. A Campagna si celebra il rito de “A’ Chiena”: le acque del fiume Tenza vengono liberate nel cuore del borgo scatenando una battaglia purificatrice tra gruppi e individui.
Ma all’acqua, bene necessario, è legata anche parte dell’architettura di prestigio della Campania. Le opere immense legate agli acquedotti che soddisfano la richiesta idrica di una metropoli come Napoli non sono recenti e, anzi, restituiscono il quadro di una lunga lotta tra l’ostilità della natura e il genio dell’uomo. Ne è simbolo l’acquedotto Carolino che assicurò la fornitura idrica a quel gioiello senza tempo che è la Reggia di Caserta.