Combattimenti a Pompei: i Ludi Gladiatori

Lo spettacolo più cruento dell’antichità, derivato dagli etruschi e poi diffusosi nell’antica roma

È probabile che l’origine dei Ludi Gladiatori derivi dal mondo etrusco e che la diffusione a Roma sia passata attraverso la mediazione della Campania, dove, durante il periodo sannita, venivano celebrati giochi cruenti in onore dei defunti come illustrano molte pitture osche di ambito funerario.

È proprio in Campania, inoltre, che è maggiormente diffusa la concentrazione di edifici per lo svolgimento di tali spettacoli con caratteristiche architettoniche già ben definite sin dall’età repubblicana. Nei maggiori anfiteatri campani, come quelli di Capua e Avella, gli scavi archeologici hanno riscontrato addirittura fasi costruttive anteriori all’età sillana, periodo al quale si data l’anfiteatro oggi ritenuto più antico a noi pervenuto, ovvero quello di Pompei.

Ma come erano strutturati i Ludi Gladiatori? Ad occuparsi delle spese di realizzazione dei giochi vi era l’editor muneris che attingeva talvolta dalle casse pubbliche soprattutto in occasioni ufficiali. I giochi, però, venivano organizzati anche a scopo puramente ludico direttamente dai lanistae, cioè quegli impresari che vendevano i gladiatori agli editores assieme al corollario di attrezzature e bestie feroci che servivano ad animare gli spettacoli e a farli diventare più cruenti.

Le categorie di specializzazione dei gladiatori erano diverse e cambiavano in base alle armi utilizzate per il combattimento, inoltre, per essere pronti allo spettacolo, dovevano frequentare apposite scuole di addestramento di cui la più importante e famosa passata alla storia è quella di Capua, dove scoppiò la rivolta di Spartaco.

Tra le specializzazioni vi era il retiarus armato di tridente e di una rete, il secutor o murmillo che aveva una spada, un lungo scudo rettangolare e un elmo piccolo e arrotondato per non concedere appigli all’avversario con la rete; l’oplomachus che aveva un grande scudo che lo proteggeva; il sagittarius che aveva frecce ed arco; il traex che aveva un piccolo scudo di forma quadrata, alti gambali e una spada corta e ricurva (sica); l’essedarius che combatteva su un carro da guerra. I gladiatori erano, all’interno della scuola, suddivisi in familiae, mantenute a spese di ricchi imprenditori privati. Lo stesso Cesare aveva a Capua, nel 49 a.C., 5000 gladiatori che manteneva e armava per gli spettacoli, il cosiddetto ludus Iulianus.

Questa scuola, passata successivamente sotto l’amministrazione imperiale, cambierà il nome con Nerone in ludus Neronianus e avrà sempre un ruolo di rilievo tra le compagnie di gladiatori di tutto l’Impero. A Pompei, come in qualsiasi altra città dotata di un anfiteatro, la popolazione nutriva un vero e proprio spasimo per i giochi, per i gladiatori e per gli spettacoli più cruenti. Una vasta documentazione epigrafica che ci è pervenuta, non manca di graffiti riguardanti il tifo per uno o per l’altro campione, ma anche apprezzamenti femminili sulla fisicità. Il ritrovamento sempre a Pompei nella Caserma dei gladiatori di un corpo di donna ingioiellato, vittima dell’eruzione, ha ben alimentato la letteratura di storie romantiche tra ricche matrone e gladiatori.

I ludi gladiatori furono certamente lo spettacolo più cruento che l’antichità ci abbia fatto conoscere, ma, contrariamente a quanto si crede, non era finalizzato alla morte, anche perché allenare un gladiatore doveva costare non poco ad un imprenditore. La morte poteva sopraggiungere in due modi: o durante il combattimento nell’arena o nel caso che l’editor o il pubblico si rifiutasse di concedere la grazia al gladiatore perdente. Questa era un’accezione e accadeva solo se il gladiatore non aveva combattuto abbastanza da far divertire gli spettatori o si era mostrato meschino e vile.

Sempre attraverso i graffiti pompeiani, è stata permessa una verifica degli esiti dei combattimenti: con la lettera V si indicava la vittoria, con la lettera M la sconfitta con grazia ricevuta, con la P la morte. Dai resoconti risulta che tra tutti i combattimenti attestati, trentadue, quasi tutti gli sconfitti vennero graziati (missus est) e che i morti furono solo sei. Oltre ai graffiti, Pompei, ci restituisce anche gli edicta munerum, cioè i programmi che annunciavano gli spettacoli previsti nell’Anfiteatro.

Come i manifesti elettorali, questi venivano dipinti sui muri delle case o delle taverne, e i più numerosi si trovano sulla via principale della città, Via dell’Abbondanza. I manifesti erano strutturati in maniera tale che comparisse il nome dell’editor muneris, il numero delle coppie di gladiatori che si esibivano e questo variava da dieci a quarantanove con una prevalenza di coppie da venti, probabilmente numero standard per questo genere di combattimenti. A volte era motivata anche l’occasione per cui lo spettacolo si svolgeva, come inaugurazione di un edificio importante, oppure semplicemente pro salute imperatoris, in onore dell’imperatore, e venivano elencati anche i comfort offerti agli spettatori come la presenza del velarium che in estate spesso evitava svenimenti ed insolazioni.

Nell’Anfiteatro di Pompei, inoltre, gli spettacoli con animali si dovevano limitare ad esemplari di fauna locale, come l’orso contro il quale combatté Felice; leoni, pantere, elefanti, e ogni altro animale esotico pericoloso erano riservati ad arene più importanti tanto più che l’anfiteatro pompeiano aveva un parapetto di protezione dell’arena di solo 2.18 metri, troppo pochi per un’adeguata frenata dello slancio delle belve.

Quella da frenare era invece la passione per questi spettacoli che nel 59 d.C. portò ad una rissa epocale a Pompei, tanto da essere raccontata da Tacito nei suoi Annales (Ann., XIV,17) e di cui abbiamo quasi un’immagine fotografica in un affresco esposto oggi al Museo Archeologico di Napoli. Durante uno spettacolo di gladiatori organizzato da Livineio Regolo su iniziativa del senato, scoppiò una rissa tra Pompeiani e Nocerini.

Scrive Tacito: “come capita spesso nelle piccole città, gli spettatori si derisero a vicenda scagliandosi insulti e volgarità; poi passarono alle pietre e infine alle armi. I tifosi di Pompei, più numerosi dato che lo spettacolo si teneva in casa loro, ebbero la meglio. Molti tifosi di Nocera furono riportati a casa pieni di ferite e molti piansero la morte di un figlio o un genitore”. La rissa, però, differentemente da quanto riportato da Tacito che parla di oppidania lascivia, sembra essere scoppiata per un malcontento dei pompeiani per la deduzione della colonia di Nocera da parte di Nerone e la conseguente distribuzione dei territori di Stabiae alla nuova città, su cui Pompei da tempo sperava di mettere mani. A diffondere il malumore Livineio Regolo che, attraverso questi giochi, intendeva fomentare la massa e portare la questione a Roma. Ovviamente tutto questo non avvenne e per la gravità dell’accaduto, la sola cosa che riuscì a Pompei, fu la squalifica dell’anfiteatro per 10 anni e l’esilio per coloro che avevano capeggiato i disordini.

Recenti scavi nella zona di San Paolino a Pompei, ci hanno permesso di aggiungere ulteriori tasselli all’incredibile storia di questa città e soprattutto avere informazioni su un imprenditore di giochi gladiatori e alcuni aspetti inediti della rissa fra Nocerini e Pompeiani che Tacito omette.

Il monumento funebre di questo importante personaggio si trova lungo una strada antica che non è visibile perché ricoperta dai lapilli dell’eruzione ma che, per la prima volta, mostra il passaggio di una carovana in fuga da Porta Stabia al di sopra dello strato di oltre due metri di lapillo che copriva questa porzione della città antica. È possibile che già gli scavi ottocenteschi abbiano intercettato questo livello, ma che non sia stato ben letto non essendoci in antico scavi scientifici.

Quello che ha sorpreso gli archeologi, è stato il ritrovamento sul monumento di una lunga iscrizione dedicatoria di oltre 4 metri, la più lunga epigrafe portata alla luce sino ad ora. I sette registri narrativi, pur non recando il nome del defunto, ne scandiscono con estrema precisione però le tappe fondamentali della sua vita privata e pubblica che vanno dall’acquisizione della toga virile alle nozze e fino alla descrizione delle attività munifiche che hanno accompagnato tali eventi: banchetti pubblici, organizzazione dei ludi gladiatoria e combattimenti contro le belve feroci. Questo famoso personaggio racconta sostanzialmente quello che ha fatto durante la sua vita e ci troviamo davanti ad un elogio del defunto unico, perché a Pompei, fino ad ora, non è mai stato ritrovato nulla del genere. Sappiamo infatti che era solito elargire grandi banchetti sontuosi, addirittura allestendo 456 triclini e non pago di tutto questo sfarzo, organizzò anche uno spettacolo con 416 gladiatori. Un dato assolutamente eccezionale se consideriamo che dalle iscrizioni rinvenute a Pompei a combattere non erano mai più di 30 coppie di gladiatori. Qui invece siamo di fronte ad uno spettacolo gigantesco, paragonabile solo ai grandi ludi romani. Eventi quindi personali celebrati con grandi atti di munificenza, per acquisire prestigio e per promuovere la carriera politica.

Non è un caso infatti che l’illustre pompeiano, come riporta l’iscrizione, ricoprì la carica di duoviro. Grazie alla citazione di eventi topici della vita del defunto, apprendiamo anche notizie inedite ed interessanti sulla rissa tra Pompeiani e Nocerini.  Tacito, da quanto si apprende dall’iscrizione, non racconta interamente i fatti e proprio la lunga epigrafe funeraria ci svela invece dettagli fino ad ora sconosciuti. L’evento sappiamo, richiamò l’intervento dell’imperatore Nerone che da Roma incaricò il senato per far luce sui fatti e oltre alla squalifica dell’anfiteatro per 10 anni, allo scioglimento delle associazioni illegali, portò all’arresto ed esilio dell’ex senatore di Roma Livineio Regulo e di quanti avevano istigato il fatto. Fin qui il passo di Tacito che tuttavia non è esplicito su altri importanti esili: quello dei due duoviri della città, i Pompei padre e figlio che, grazie all’iscriziane, sappiamo esser stati riportati a casa dal nostro illustre personaggio e che lui fa esplicitamente sapere alla città. Inoltre fu così amato dai suoi concittadini che questi vollero attribuirgli il nominativo di PATRONUS che lui rifiutò, come si fa in questi casi, perché troppo impegnativo e lui non ne era degno. Altri lo chiamarono addirittura PRINCEPS COLONIAE, titolo altrettanto interessante perché lo annovera al top della cittadinanza.

Chi è allora questo personaggio così amato e ben voluto? Quasi certamente il nome dell’illustre uomo di Pompei è Gneo Alleo Nigidio Maio, uno dei più grossi finanziatori di spettacoli con gladiatori che si svolgevano all’interno del più antico anfiteatro a noi pervenuto, ma anche figlio di schiavo, poi liberato che, grazie alla ricchezza accumulata ci illumina sui complessi rapporti di mobilità sociale della Pompei degli ultimi decenni prima del 79 d.C.

Gneo Alleo sappiamo che fu anche un potente imprenditore edile, a lui apparteneva l’insula Arriana Polliana, l’insula dove è situata la casa di Pansa di cui mette in affitto tabernae cum pergulis suis et caenacula equestria et domus, come riporta un’altra epigrafe dipinta davanti alla casa di Pansa nella Regio VI. Quest’iscrizione deve essere massimo del 78 d.C., perché diceva: “si fitta da luglio”, intendendo il luglio precedente alla data dell’eruzione.

Gneo Alleo Nigidio Maio morì nel 78 d.C., fortunatamente non assistendo alla catastrofe che si abbatté sulla sua città.

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