Il segreto del tempo: le dolci poesie di Talal Haidar

Una raccolta scritta in lingua dialettale araba edita Mreditori

Cosa chiedeva l’usignolo a questo mondo per farne il paradiso? Non doveva che chiudere gli occhi aprire il becco e cominciare a cantare”

Il Segreto del Tempo di Talal Haidar, è una raccolta di poesie, scritte in lingua dialettale araba, che stupisce inaspettatamente il lettore.

Cavallo di battaglia del libro, a mio avviso, è l’intervista che il figlio, Rami Haidar, fa al padre. Nel testo, questo intimo racconto, compare come prefazione. Mi verrebbe da dire, che questa carta è stata ben giocata: un biglietto d’ingresso veramente toccante. E aggiungerei indispensabile per entrare maggiormente in sintonia con la lettura.

Terminata l’intervista, risulta difficile richiudere il libro e non proseguire, si è curiosi di scoprire se quanto Haidar racconta, lo ha riportato nelle sue brevi ed intese poesie. Così è stato.

La dote innata della sensibilità, fa presto capolino nella sua vita. Si sente diverso dagli altri, perfino dalla suoi cari, ma non pare crearsene un problema. Attribuisce e conferisce fin da bambino, un valore e una potenza al tempo senza eguali. Leggendo la sua storia e le sue poesie mi viene da pensare – ironicamente parlando – che infondo andare d’accordo con il tempo non è poi così difficile, basta arrendersi in un certo senso, e capire che non Lui c’è partita.

Lezione difficile da imparare vero? Eppure lo scrittore ne ha fatto un punto di forza nelle sue poesie. E forse anche nella vita. Le sue poesie sono sognanti, romantiche, leggiadre come delle bianche colombe che svolazzano attraverso il passare delle stagioni.

Talal Haidar è nato a Baalbeck, in Libano, classe ’37, è laureato in filosofia all’Università Libanese e alla Sorbona, ha vinto il premio Said Akl con la raccolta “Il venditore del Tempo” ed ha all’attivo tre raccolte poetiche Era ora, Il Cavaliere nel segno del leone e Il segreto nel tempo. Artista a tutto tondo, ha scritto commedie musicali, collaborato con la compagnia del folklore libanese Caracalla, ha scritto le sceneggiature di diverse pellicole. Non si è fatto mancare trasmissioni televisive e attività di giornalismo.

Mi sembra piuttosto evidente, che ha fatto della scrittura e del linguaggio il suo pane quotidiano. Ed è su quest’ultimo concetto che si sofferma molto, catturando definitivamente la mia attenzione di lettrice. Il poeta ci ricorda quanto il linguaggio che è fatto di strumenti, quali le parole e le stesse lettere, sia difficile da gestire, da modellare. Perché certi significati sono insiti, quasi universali. Mentre il “compito” del poeta è esattamente il contrario: spogliare una parola del suo significato e conferirgliene uno nuovo, portando nuovi contenuti.

Parecchi cantanti arabi hanno cantato i suoi versi, e vari compositori hanno musicato le sue poesie e la cosa, attribuendo per l’appunto, nuova vita e nuova forma alle parole. E la cosa, mi pare di aver capito, non ha molto turbato lo scrittore, il cui unico desiderio è quello di ascoltare la propria voce e comporre nuovi mondi.

Forse teneva ragione Massimo Trosi, nel film Il Postino, mentre parla con lo scrittore Neruda: “La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve”. Chissà se Talal Haidar è d’accordo.

Il libro edito Mreditori è a cura di Antonino D’Esposito e Rami Haidar.

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