Biografia del commediografo, attore e scrittore del secolo breve, tra realismo ed avanguardia
Nella stradina in cui nacque, nel centro antico di Castellammare di Stabia, Raffaele Viviani viene ricordato con una targa in marmo: “la maschera e il cuore“, ad imperitura memoria, sono le parole scolpite nella lapide oltre alla data di nascita, 9 gennaio 1888.
Viviani (Viviano all’anagrafe) è stato un attore, commediografo, scrittore tra i maggiori rappresentanti dell’arte scenica della prima metà del secolo breve. Il padre, Raffaele, era vestiarista (costumista) teatrale. Per un tracollo finanziario la famiglia si trasferì a Napoli dove Raffaele senior fonda alcuni teatrini chiamati Masaniello, che divennero ben presto il palcoscenico di prova del piccolo Papilluccio (nomignolo familiare di Viviani), dove capitava che si esibisse da solo o con la sorella Luisella.
Queste le prime mosse di una carriera ricca di successi e feconda di opere teatrali e canzoni che lo porteranno ad essere famoso in tutta Europa. A 18 anni cominciò a comporre macchiette e caratterizzazioni che interpretava egli stesso. Per le musiche aveva ingaggiato un maestro di pianoforte al quale canticchiava i motivi che venivano trascritti in note. Pian piano la situazione economica migliora e Viviani si poté permettere una nuova casa ed un pianoforte. La vita privata fu segnata dal matrimonio con Maria Di Majo, nipote di Gaetano Gesualdo finanziatore e impresario teatrale, da cui ebbe quattro figli, Vittorio, Yvonne, Luciana e Gaetano.
A Roma viene scritturato per l’inaugurazione del teatro Jovinelli e il suo nome e la sua arte iniziano ad essere apprezzati in tutte le importanti sale di Varietà d’Italia. Con il moltiplicarsi delle scritture in tutta Italia accrebbe la capacità di essere impresario di sé stesso e della sorella Luisella, proponendo degli eventi completi con numeri scritturati da lui ormai divenuto capocomico. Questa sorta di compagnia “Tournèe Viviani” frequentava vari Cafè-chantant in tutta Italia. Nasceva così, unendo prosa, musica, canto, danza e poesia, la prima idea di un teatro totale.
Arrivò poi la disfatta di Caporetto e con essa la volontà di chiudere i varietà poco edificanti per i reduci dal fronte. Ma Viviani non si perse d’animo, già aveva desiderio di passare alla prosa, si dedicò così alla scrittura di atti unici.
I suoi primi atti unici vengono scritti tra il 1908 e il 1918, ricordiamo: ‘O guappo nnammurato, ‘O vico, Tuledo ‘e notte, ‘Nterr ‘a Mmaculatella, Porta Capuana. La “Compagnia d’arte napoletana” di Viviani per tre anni fu ospitata dal Teatro Umberto.
Seguirono lavori in due atti tra cui: Santa Lucia Nova, Cafè Chantant (poi Eden Teatro), La boheme dei comici, La figliata, Zingari.
Siamo negli anni turbolenti che seguirono la prima guerra mondiale, malessere che si avverte nell’opera di Viviani. Negli anni ’20 e ’30 la compagnia d’arte napoletana di Viviani è un fatto compiuto; sono di quegli anni molte delle sue opere di maggior successo, anni in cui si cimenta nel ruolo di drammaturgo, attore e direttore.
Il successo inizia a scemare negli anni del pieno regime, quando la rappresentazione della miseria sempre così viva nel teatro di Viviani, stona con la propaganda fascista. Fu infatti lo stesso pubblico ad ostracizzare un teatro che metteva scomodamente a nudo le realtà più drammatiche della convivenza umana. A questo punto inizia ancora un’altra maniera del teatro di Viviani, anticipatrice di quella poetica neorealista del dopoguerra in cui pone al centro dell’ispirazione Napoli come problema sociale. Questa stagione culminerà con Muratori e I dieci comandamenti, opere che non ebbero il favore del pubblico perchè portavano in scena “le vergogne d’Italia”.
Siamo ormai sul finire degli anni ’30 quando Viviani reinventa nuovamente sè stesso proponendosi come interprete (ma in realtà non abbandonando mai veramente la sua penna drammaturgica). Il nuovo successo dovette scontrarsi nuovamente con le difficoltà all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia, tanto che la compagnia recitava fra un allarme aereo e l’altro, tornando in scena dai rifugi appena tutto taceva.
Dopo la guerra, l’ultimo sogno di Viviani sarà quello di creare a Napoli un teatro stabile.
Viviani morì a 62 anni e riposa nella cappella riservata alle famiglie De Filippo, Scarpetta e Viviani al Cimitero di Poggioreale a Napoli.
La sua opera è stata ripubblicata in sei volumi dal 1987 e così anche le sue Poesie nel 1990. Alla Certosa e Museo di San Martino di Napoli, la sezione teatrale chiude con una saletta dedicata a Viviani con dipinti e sculture (foto di copertina), foto di scena e una fotografia di Vincenzo Gemito che modella la testa dell’attore, simbolo della relazione tra le arti figurative e il teatro.