Il Rosso di Moio della Civitella: dal Cilento alla Napoli bene

Uno dei vini più pregiati della Campania fin dal ‘700 e la storia dei 33 litri

Trentatré, trentatré e trentatré. Sì, tipo la proposta di Massimo Troisi e Roberto Benigni al genio (da loro bistrattatissimo) di Leonardo da Vinci. Solo che resta quell’uno appeso che è dispari, anzi spari, come si indica il “resto” che avanza dalle divisioni in moltissime zone della Campania. I contadini e i vinicoltori di Moio della Civitella, però, avevano risolto l’annoso problema: quell’“uno appeso” se lo facevano pagare lo stesso.

Un quintale è unità di misura che era (e forse lo è ancora) la più ampia e utilizzata nell’agricoltura e nella commercializzazione all’ingrosso di ogni tipo di genere alimentare, per ogni genere di mercanzia. Fossero solidi (grano, mele, uva) o liquidi (latte, olio e vino). Un quintale, nell’accezione “liquida” del termine, è pari a cento litri. E nelle transazioni dal produttore agli intermediari il prezzo, praticamente sempre, era corrisposto e conteggiato in ragione appunto dei quintali “di roba” effettivamente consegnati al compratore.

Così accadeva anche per il vino in quel lembo di Cilento che è Moio della Civitella. Documenti storici comprovano che il vino prodotto qui, già dal Settecento, era bevuto con somma gioia alla corte dei Re di Napoli da principi e notabili. Un vitigno originariamente di Aglianico che con l’andar del tempo ha finito per perdersi lasciando spazio ad altre qualità di uva, tra cui la Malvasia che oggi ancora si produce nel paese.

I contadini di Moio, fino agli anni ’60 del secolo scorso, conservavano il vino prodotto in barilotti da trentatré litri. Quando arrivavano i camion a fare il carico, il conto era presto fatto: tre barili conteggiavano un quintale pure se, in realtà, venivano consegnati effettivamente “solo” novantanove litri. Quello “fantasma” se lo facevano pagare lo stesso. Tanto, chi ci faceva caso?

Questa è una delle storie custodite al Museo della Civiltà Contadina di Moio della Civitella. Nato dall’idea di un professore che voleva trasmettere ai suoi alunni l’amore per la propria identità culturale e territoriale oggi continua ad affascinare i visitatori che giungono nel centro cilentano.

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