
Il 25 marzo 1945 va in scena per la prima volta la celebre commedia di Eduardo De Filippo
L’eco della guerra, delle sirene, della ressa nei ricoveri è ancora presente. Napoli è stata la città italiana più bombardata e la stima dei morti tra la popolazione civile aggira intorno a quota venticinquemila. La città del sole trasformata in un cumulo di macerie e lacrime; la capitale della cultura ridotta alla requisizione dei teatri.
Eppure, il 25 marzo 1945, si alza il sipario del Teatro San Carlo. In scena c’è una nuova commedia di Eduardo De Filippo, Napoli milionaria!, la cui rappresentazione è realizzata a beneficio dei bambini poveri della città.
È l’atto di nascita di un nuovo teatro, di una nuova compagnia, “Il Teatro di Eduardo”.
La separazione da Peppino è definitivamente sancita, la magnifica esperienza del Teatro umoristico I De Filippo è accantonata e con essa tutto il repertorio comico col quale si era andati avanti anche durante gli anni della guerra. Il cognome “De Filippo” è troppo vincolante, quindi, troppo rivolto al passato. Quel cognome Eduardo non intende più scriverlo sulle locandine.
Comincia a firmarsi soltanto col suo nome di battesimo. Viene eliminato anche l’aggettivo «umoristico», ormai anacronistico e riduttivo rispetto alle nuove esigenze ed intenzioni dell’autore napoletano. Successivamente dirà: “Poche settimane dopo la liberazione mi affacciai al balcone della mia casa di Parco Grifeo, e detti uno sguardo al panorama di questa città martoriata: così mi venne in mente in embrione la commedia e la scrissi tutta d’un fiato, come un lungo articolo sulla guerra e sulle sue deleterie conseguenze”.
Il drammaturgo napoletano diventa il primo autore a trarre ispirazione dalla mesta realtà circostante che decisamente s’allontana sia dall’atmosfera sancarlinesca e scarpettiana, sia da quell’immagine oleografica della Napoli sette/ottocentesca dei vicoletti, dei panni stesi; la Napoli pantagruelica, della pigrizia e del folklore. La storia entra di forza nella scena eduardiana. Il suo teatro dà ora voce, in modo diretto, ai drammi e ai problemi del suo tempo.
Quella sera del 25 marzo 1945, finita la rappresentazione, un interminabile minuto di silenzio apre le porte ad applausi scroscianti. Il successo è tangibile, così come le lacrime. Anche gli occhi del grande Raffaele Viviani si coprono di pianto e la sua inconfondibile voce strilla: “Eduà, siamo vivi!”.
Sono passati anni da quel giorno: la speranza si affievolisce e la “nottata” sembra essere eterna.
a cura di Ferdinando Guarino