Palazzo Marigliano: il centro nevralgico della lotta agli spagnoli
Napoli, 1701. Carlo II di Spagna è morto senza eredi ed il partito filo austriaco non può perdere l’occasione per togliere di mezzo gli spagnoli e mettere al loro posto Carlo, figlio di Leopoldo d’Austria. Mente di questa operazione fu Gaetano Gambacorta, principe di Macchia, e infatti questa intricata vicenda è passata alla storia come la Congiura di Macchia.
Con Tiberio Carafa, principe di Chiusano, prese contatti con gli austriaci e ad organizzare i dettagli di quello che era un piano ben studiato che coinvolgeva i nobili napoletani. I congiurati si riunivano a Roma a casa del Cardinale Vincenzo Grimani che, con il Conte Leopoldo Giuseppe Lamberg, gestiva la fitta corrispondenza con gli alleati oltralpe. A Napoli invece il centro nevralgico della lotta agli spagnoli era Palazzo Marigliano, in Via San Biagio dei librai, la meravigliosa abitazione rinascimentale della famiglia di Capua.
Il gruppo di dissidenti si riunivano nel grande salone al primo piano, la Sala delle Armi, di fronte il grande camino in piperno e marmo creato assemblando antichi pezzi cinquecenteschi. Tra di loro c’erano Francesco Spinelli, Duca di Castelluccia, Francesco Ceva Grimaldi, Duca di Telese, Carlo di Sangro, Marchese di San Lucido, Cesare d’Avalos, Marchese del Vastò. Erano circa un centinaio i nobili che, allettati dall’idea di riprendere in pieno i loro poteri, tramavano contro la Spagna.
Il piano era semplice: uccidere Luigi Francesco de la Zelda, il viceré Duca di Medinacaeli, di sera, quando era solito dopo cena andare a trovare la sua cortigiana preferita. I congiurati avevano convinto Nicola Anastasio, il suo cocchiere abituale, a tradire il signore. Successivamente si pensava di assaltare Castel Nuovo e, liberati i prigionieri, con la complicità del popolo si poteva così acclamare Carlo d’Austria come nuovo Re.
Ma le cose precipitarono all’improvviso, perché il re riuscì ad intercettare una lettera del Cardinal Grimani e scoprire il piano. Ciò che succede dopo ce lo racconta Giambattista Vico, che nel suo “De Conjuratione Partenopea” descrive come gli eventi alla fine prendono una brutta piega.
I congiurati non sanno cosa fare, se continuare o meno nel loro intento. Tutti sono riuniti nei cunicoli sotto Palazzo Marigliano, ma Gaetano Gambacorta si impone sugli altri e il piano prende il via. Nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1701 inizia la sommossa.
Per prima cosa assaltano Castel Capuano per liberare i prigionieri, e mettono a ferro e fuoco le strade di Napoli. I palazzi vengono assaltati in cerca di armi e ricchezze ed i filo austriaci occupano il campanile di San Lorenzo, l’atrio di San Paolo Maggiore e il campanile di Santa Chiara. Sono pronti a sparare a vista agli spagnoli, i quali preparano la controffensiva. Questi non esitano a bombardare Santa Chiara per mettere i ribelli in fuga, i quali così si ritirano a San Lorenzo. Per loro si mette male, alcuni nobili tentano la fuga, altri insistono nell’intento, sicuri di poter ancora vincere. Il convento ed il campanile francescano diventano la tomba per molti di essi. Il Principe di Montesarchio, a capo degli spagnoli, cerca però colui che era considerato la mente militare della resistenza, Carlo di Sangro. Tra i due nasce uno scontro e quest’ultimo, per scappare, cade dalle scale spezzandosi la schiena rimanendo paralizzato.
I filo austriaci hanno perso. Alcuni vengono catturati, altri scappano a Vienna. Ne nasce una sanguinosa caccia all’uomo e i rivoltosi vengono uccisi, mentre le loro teste sono portate in gabbie di ferro a Napoli, serviranno come monito per chi volesse provare a ribellarsi. I nobili imprigionati invece vengono tutti condannati alla pena capitale.
Cosa non ha funzionato? Probabilmente è stata anche la scarsa partecipazione popolare a far fallire la congiura. Perché il popolo doveva combattere per i nobili per fare riacquistare loro privilegi e benefici quando fino a pochi anni prima quegli stessi non si erano fatti scrupoli a togliere di mezzo l’unico che davvero si era messo dalla parte degli ultimi, cioè Masaniello?
A testimonianza della Congiura di Macchia c’è ancora nell’atrio di Palazzo Marigliano una sbiadita lapide, a ricordo di quella vicenda che prese il via proprio dentro quelle mura.