Un viaggio enogastronomico tra natura e storia
L’itinerario si snoda seguendo la strada principale che come una collana di perle infila i vari comuni della comunità montana partendo da Controne. Il piccolo centro è rinomatissimo in tutta la Regione per la produzione alimentare in particolare dell’olio d’oliva DOP, ricavato essenzialmente dagli ulivi degli Alburni ma soprattutto per il famosissimo fagiolo di Controne, di recente inserito dallo Slow food nelle 100 specialità da salvare, merita assolutamente una sosta in uno dei numerosi agriturismi o nelle taverne che costellano il centro storico.
Lasciato il borgo di Controne, al bivio appena fuori dal centro abitato, la nostra strada segue le indicazioni per le Grotte di Castelcivita. Anfratti colmi di formazioni carsiche ma soprattutto di storia e leggenda. Scavate dal percorso sotterraneo del fiume Calore che attualmente scorre a poche centinaia di metri, sorprendono il visitatore già all’ingresso dove sono stati rinvenuti numerosi strumenti di epoca paleolitica che ne confermano l’utilizzo come luogo di riparo. Nei secoli le leggende hanno mutato il nome di questi cunicoli in grotte del Diavolo ed addirittura in quelle di Spartaco. Tragica e romanzesca è anche la loro scoperta, dovuta a due fratelli provenienti della vicina Controne. I due giovani dopo essersi infilati in uno stretto cunicolo, persero conoscenza a causa ,probabilmente, delle esalazioni degli escrementi dei pipistrelli, addirittura uno di loro morì all’interno della grotta mentre l’altro a seguito dello shock riportò in seguito disturbi psichici. Spettacolare, all’interno la vista delle stalattiti e stalagmiti che creano forme imponenti e fantasiose che lasciano senza fiato il visitatore, illuminate sapientemente le forme carsiche contribuiscono a rendere la visita un vero e proprio salto nel tempo a contatto diretto con la natura più selvaggia. Il percorso attualmente praticabile con l’aiuto di guide esperte copre solo ¼ dell’intera estensione dei cunicoli. Recenti studi hanno rilevato alla fine delle grotte carsiche un immenso lago sotterraneo, ancora inesplorato.
La strada che ci ha condotti alle grotte torna a salire ed ad accompagnarci verso l’abitato di Castelcivita, inerpicato sul pendio meridionale degli Alburni. Il borgo antico nasce e si sviluppa intorno alla Torre Angioina, alta 25 metri e costruita probabilmente nel 1200 dai francesi domina dall’alto tutta la valle del Calore. Il borgo è articolato in stradine strette che si inerpicano lasciando spazio più a monte ai tratturi per il pascolo.
Seguendo la SS488 lasciamo Castelcivita, tagliamo nel mezzo l’abitato di Ottati, e raggiungiamo Sant’Angelo a Fasanella. Lasciamo l’auto e la civiltà moderna per salire attraverso sentieri ben indicati verso costa Palomba.
La sommità rocciosa e aspra nasconde uno dei reperti più rari della Regione: l’antece, dichiarata patrimonio mondiale dell’umanita dall’Unesco Una scultura ricavata nella roccia raffigurante un guerriero con una tunica cinta da una corda dalla quale pende una spada. Misteriosa quanto leggendaria la datazione della scultura, creata a grandezza naturale, è secondo alcuni studiosi un monumento sepolcrale al cui interno non sono però stati ritrovati resti. Di fianco all’Antece è individuabile un’altra roccia utilizzata probabilmente come altare sacrificale a conferma dell’importanza storica e antropologica del luogo. Ben evidenti, infine sono le grosse mura poligonali utilizzate nella preistoria come fortificazioni intorno ad un ipotizzato villaggio preistorico. Riscendendo verso l’abitato, tappa obbligata a Sant’Angelo è la grotta dell’Angelo una grotta rupestre sede al suo interno intorno all’XI secolo odi una comunità benedettina, attualmente è luogo di culto, con statue e nicchie votive dedicate alla Madonna e all’Arcangelo Michele.
Ultima tappa del nostro itinerario è il borgo di Roscigno vecchia conosciuta ai più come la Pompei del ‘900. Anch’essa patrimonio Mondiale dell’Unesco, la si raggiunge percorrendo sempre la SS488 e seguendo le indicazioni per Roscigno. Il borgo antico è stato progressivamente abbandonato tra il 1902 ed il 1908 a causa di un movimento franoso che gli ha reso anche il soprannome di “paese che cammina”. Tutto il centro abitato è stato conservato come i un immenso e struggente fermo immagine. Lle strade, le piazze, le fontane ancora in funzione. Il ferro battuto dei balconi tutto parla di ciò che fu. Di particolare interesse è il Museo della Civiltà contadina, che racconta attraverso gli strumenti ed i reperti la vita sociale e contadina dell’epoca.