Avevano una visibilità pubblica elevatissima e i meriti venivano loro riconosciuti dall’intera collettività
Nel momento in cui Pompei divenne colonia romana, nell’80 a.C., le donne erano ormai sostanzialmente libere, alcune assai ricche (quelle delle classi più elevate) e soprattutto emancipate. Conosciamo diverse storie all’interno della città. Ecco le più significative.
Asellina vendeva bevande calde nel suo thermopolium su Via dell’Abbondanza e da un famoso manifesto elettorale, trovato sui muri della taverna, invitava i clienti e i passanti a votare per Caio Lolio Fusco, candidato a diventare duo viro aedibus sacris publicis procurandis. Il manifesto era firmato anche da altre donne, probabilmente delle sue lavoranti, chiamate Asellinae, i cui rapporti con la proprietaria sono ancora oggi molto discussi. C’è chi parla di schiave-cameriere, altri parlano di prostitute che si vendevano nel retrobottega ma, questione a parte, è importante notare l’apporto tutto femminile alla causa politica da cui si deduce anche che vi partecipavano donne di modesta condizione economica e sociale, forse di origine servile.
Tra quelle che potremmo definire emancipate, a Pompei vi erano donne con la possibilità di disporre di ingenti patrimoni e di disporne anche per uso non privato. Mamia, era una pubblica sacerdotessa proveniente da una ricca famiglia di origine sannitica, famosa per avere donato alla città un tempio dedicato al “genio dell’imperatore”. Eumachia, appartenente ad una ricca famiglia pompeiana che doveva la sua fortuna alla viticoltura e all’industria anforaria, aveva fatto costruire nel Foro e a sue spese uno degli edifici più imponenti della piazza, probabilmente destinato ad essere mercato della lana. Consacrò la costruzione a nome suo e del figlio M. Numistrius Fronto, alla Concordia Augusta e alla Pietas, con lo scopo di agevolare la carriera politica del figlio. È probabile che l’edificio servisse come sede alla corporazione dei lanaioli, tintori e fullones per le contrattazioni della merce all’ingrosso. Queste donne avevano avuto una visibilità pubblica elevatissima e i meriti venivano loro riconosciuti dall’intera collettività. A Mamia venne costruita una tomba su un terreno donato a scopo funerario proprio dalla città, nel pomerium, la fascia di rispetto posta all’esterno, dove si seppellivano i morti; ad Eumachia, invece, fu la corporazione dei fullones a dedicarle una statua nell’edificio da lei fatto costruire, come padrona e loro benefattrice.
Così sulla sua tomba: “Mi chiamo Eumachia. Mio padre Lucio ha fatto la sua fortuna grazie al commercio: una fiorente industria di anfore, tegole e mattoni e il famoso vino pompeiano. Ho fatto erigere per me e per i miei familiari un sepolcro ad esedra, il più imponente di Pompei. Si trova appena fuori da Porta Nocera. Sono stata sacerdotessa di Venere e patrona di una delle corporazioni più potenti della città, i fullones: tintori e lavandai di stoffe. Nel Foro di Pompei ho costruito un grande edificio, dedicato al culto di Livia, la moglie dell’imperatore: qui, nel vasto portico, si svolgevano le transazioni commerciali più importanti della città.”
Altra donna importante a Pompei fu Giulia Felice, che vicino all’anfiteatro aveva delle proprietà immobiliari, praedia, che dava in affitto. Probabilmente era la stessa donna che gestiva gli affari, anche se il lavoro non era di per sé segno di emancipazione, in quanto donne come Mamia, Eumachia e Giulia Felice erano perfettamente inserite nel tessuto sociale della città, gestendo autonomamente il loro patrimonio ed incontrando molte persone per affari.