Esami per studiare età, patologie, abitudini alimentari degli antichi pompeiani
Ulteriore fase di studio e approfondimento sui calchi in gesso delle vittime dell’eruzione di Pompei: gli interventi con TAC per studiare in modo approfondito gli scheletri umani.
È talmente suggestivo osservare i calchi delle vittime di Pompei che si comprende il motivo per cui gli specialisti che stanno realizzando lo studio li chiamino ‘pazienti’. Si ha dinanzi agli occhi uno dei resti più impressionanti e commoventi della città antica che ancora ha tanto da raccontare e lo fa attraverso innumerevoli modi, scoperte che ogni giorno arricchiscono la nostra conoscenza del mondo romano. L’utilizzo di indagini tomografiche sui calchi rientra in un progetto svolto per la prima volta e di enorme interesse scientifico finalizzato a individuare età, patologie mediche, abitudini alimentari e stili di vita.
“Un progetto interdisciplinare di ‘archeologia globale’ che indaga tutti gli aspetti dell’attività – spiega il Soprintendente Massimo Osanna – non fermandosi ad un settore, ma volto alla ricostruzione dell’intera società; nel lavoro sono stati coinvolti oltre agli archeologi e restauratori anche antropologi fisici, radiologi, odontoiatri, ingegneri, informatici”.
Lo studio rientra nell’ambito del cantiere di restauro e valorizzazione dei calchi delle vittime già avviato nel mese di agosto che ha previsto innanzitutto una attività di restauro simultaneo sugli 86 calchi realizzati a partire dal 1863 dopo la geniale intuizione di Giuseppe Fiorelli.
Per mezzo di tomografia assiale computerizzazione multistrato (TAC) si acquisiscono immagini volumetriche multistrato dell’interno dei calchi per ricostruire gli scheletri attraverso potenti server dedicati alla diagnostica per immagini cliniche.
L’apparecchiatura utilizzata è una moderna TAC da 16 strati modello MX16 con tubo radiogeno da 5.0 MHU che riesce a scansionare il corpo sottoposto alla diagnosi in appena 100 secondi. Non tutti i calchi potranno essere sottoposti a TAC in quanto la strumentazione ha una apertura massima di 70 cm ed alcuni calchi conservati hanno una dimensione maggiore. Si è proceduto inoltre alla realizzazione di rilievi scanner laser dei corpi che restituiscono una visione tridimensionale di grande impatto.
Ecco che sullo schermo compare la dentatura perfetta di uno dei calchi, con l’arcata superiore e inferiore che mostra perfettamente conservati tutti i denti compresi anche gli ottavi; come spiega l’odontoiatra specialista Elisa Vanacore “ciò dimostra che l’alimentazione degli antichi doveva essere molto più sana della nostra, priva di zuccheri e ricca di verdura e frutta mentre notevoli sono i segni di abrasione in quanto i denti erano utilizzati come strumento da taglio”. “Inoltre la bocca è chiusa – ha spiegato il radiolodo Giovanni Babino – il che indica che la morte del soggetto non è avvenuta per asfissia ma per cause diverse”.
Fin dall’antichità l’esame dei denti si è rivelato di fondamentale importanza per la ricostruzione individuale, costituendo anche la parte più resistente dell’organismo, essi possono fornire informazioni sulle attività svolte che potevano eventualmente lasciare segni indelebili (fumatori di pipa, suonatori di strumenti a fiato, carpentieri) oltre a permettere di stabilire il sesso dello scheletro, l’età, condizione socioeconomica e provenienza.
Uno degli scheletri ricostruiti mostra all’interno del calco l’intero scheletro ed una frattura nella spina dorsale, anche se non è possibile comprendere se la frattura sia avvenuta al momento dell’eruzione o successivamente. La cosiddetta ‘donna incinta’ è stata analizzata e ha dimostrato di non essere in stato di attesa. Anche il bambino – uno dei calchi più suggestivi – è stato sottoposto a TAC, dalla dimensione del femore si è compresso che non aveva superato i tre anni al momento del decesso.
Continua il lavoro sui calchi che comprende restauro, riordino, inventario, attività che hanno permesso di ritrovare i primi frammenti dei calchi realizzati col metodo ideato da Fiorelli. Tali calchi sono sopravvissuti al bombardamento dell’antiquarium del ’43, tra questi c’è il calco che si incontra per primo entrando nella piramide dove sono attualmente in mostra e che custodisce lo scheletro di un uomo di alta statura, probabilmente uno schiavo del nord. In scala 1:1 con sensori per la lettura tridimensionale della superficie, si stanno riproducendo dieci repliche di calchi in PLA (polimeri derivati da amido di mais). Attendiamo insomma le prossime interessanti scoperte.