La storia del borgo del Sannio in compagnia del suo aroma preferito e dell’immancabile Aglianico
Quando si parla del binomio maiale – salsiccia rossa, come prodotto d’eccellenza, viene spontaneo pensare a Castelpoto, piccolo borgo immerso nella natura incontaminata della Valle Vitulanese, che offre la possibilità di assaggiare il frutto di una cultura contadina giunta fino a noi grazie a secoli di rigorosa tradizione.
Castelpoto è ubicata in un suggestivo paesaggio naturale di vigneti ed uliveti. Notizie certe sull’origine del centro abitato risalgono alla prima metà del XII secolo. Feudo della famiglia dei Della Leonessa che ne ebbe il possesso dagli Angioini, passerà poi alla famiglia Caracciolo ed infine alla famiglia Bartoli. Comune autonomo sin dal 1811 a seguito della fine del feudalesimo, verrà aggregato poi alla provincia di Benevento nel 1861 con l’Unità d’ Italia. Il piccolo centro si trova nella valle Caudina, alle pendici del monte Taburno, nell’omonimo parco regionale e a circa 300 metri di altitudine, il borgo antico è caratterizzato da strade e viottoli, realizzate da normanni e longobardi, che riconducono allo scheletro ancora intatto del castello con la sua strada in salita, che a sua volta conduce all’ingresso ad arco e all’orologio fermo alle ore 16:50.
Un paese rimasto isolato fino agli anni ’50, condizione che ha consentito di conservare nel tempo usanze e tradizioni. La maggiore tipicità della tradizione culinaria di Castelpoto è appunto la Salsiccia Rossa, la cui tradizionale lavorazione è particolarmente laboriosa e complessa. Si inizia selezionando carni suine scelte, privandole di nervature e grasso e macinandole.
A questa selezione di carni si aggiungono due aromi naturali: polvere di “Papauli” (peperone rosso), dolci oppure piccanti e acqua agliata.
La polvere di “papauli” viene ricavata da una lunga lavorazione di un peperone autoctono di Castelpoto che è trasformato in polvere secondo l’antica ricetta tradizionale: in primis i peperoni piccoli vengono, dopo la raccolta, infilati con ago e filo in collane appese ad essiccare all’aria in un luogo ombroso. Dopo la tostatura in forno a legna, alimentato esclusivamente con legno d’ulivo e quercia, vengono macinati, sino ad ottenere una polvere rosso fuoco finissima.
La lavorazione dei “papauli” è stagionale ed avviene una volta all’anno. L’impasto di carne così ottenuto è insaccato in budello naturale, pratica ancora oggi eseguita completamente a mano. Si formano così le tradizionali catene di salsicce che vengono fatte stagionare oppure gustate anche fresche, alla brace, in padella, al sugo, al forno, etc..
La salsiccia rossa di Castelpoto serba nella sua storia un’impronta di origine Longobarda, tenuto conto che l’allevamento del suino era già praticato in Castrum Potonis dal “porcaio del duca”, come raccontano gli abitanti di Castelpoto. Tale tradizione medievale si è conservata fino ad oggi, infatti, molte famiglie del luogo allevano in proprio il maiale producendo, secondo ricette gelosamente tramandate, questa eccellenza gastronomica, ma solo quella dei produttori del Presidio Slow Food è fatta seguendo un disciplinare rigoroso che stabilisce norme precise anche per l’alimentazione dei suini. Il prodotto è ampiamente conosciuto ed è molto diffuso, rientrando nelle normali preparazioni di macelleria, sia nei piccoli centri che nelle grandi città; è sicuramente trasformato da almeno 25 anni, come accertato attraverso le testimonianze raccolte in zona.
Oggi, grazie a Slow Food, la salsiccia rossa di Castelpoto va conquistando le tavole ed i palati più raffinati, la ritroviamo, infatti, ovunque, anche sulle tavole delle storiche pizzerie napoletane. Ma l’eccellenza resta consumarla a fettine accompagnate da un buon pane casereccio e buon vino rosso corposo, quale un Aglianico del Taburno o un Taurasi.
(la foto è tratta dalla pagina Facebook di Fattoria Muccio)