Scopriamo l’area dedicata al culto di una delle divinità più amate dell’antica città
L’area santuariale dedicata alla dea Iside occupa la parte centrale della Regio VIII degli Scavi di Pompei, sul lato settentrionale dell’insula 7, in quella parte di città chiamata “Quartiere dei Teatri” per la presenza del Teatro Grande e del Teatro Piccolo (Odeion).
Il quartiere era al margine del più antico nucleo della città e aveva subito una profonda risistemazione durante il II secolo a.C., ospitando edifici sacri a culti più o meno antichi: il tempio di Atena, risalente al VI secolo a.C., quello di Esculapio nel sacello attribuito a Zeus Meilichios e, accanto a questo, il tempio di Iside.
Per chi percorreva la strada che oggi è chiamata “del tempio di Iside”, il santuario appariva completamente racchiuso da un alto muro di cinta; dal marciapiede due gradini permettevano di salire al livello rialzato dell’area sacra e l’ingresso era collocato in maniera tale da scorgere la facciata del tempio sulla destra, in modo che si intravedesse di tre quarti la fronte, così da coglierne a poco a poco, avanzando sotto il portico, il pieno prospetto.
Sull’architrave centrale, era la famosa iscrizione – oggi conservata al Museo Archeologico di Napoli – che ricorda come Numerio Popidio Celsino, figlio del liberto Numerio Popidio Ampliato che aveva ricostruito dalle fondamenta la Aedes Isidis distrutta dal terremoto del 62 d.C., fosse stato ammesso al consesso dei Decurioni della città, grazie all’atto munifico del padre, benché fosse solo un bambino di sei anni.
Negli ultimi anni di vita di Pompei, l’Iseo doveva dunque presentarsi come un cortile rettangolare di 22,70 x 19,78 m cinto da porticati su colonne e al cui centro si elevava un piccolo tempio su alto podio.
Nella cella vi erano delle basi per le statue di culto di Iside e Osiride, la coppia divina, mentre due nicchie esterne erano destinate agli dei che condividevano la stessa cella con la coppia divina, Arpocrate e Anubi; affiancata all’altare principale e collocata di fronte alla scalinata del tempio, vi era una fossa in muratura con, all’interno, i resti combusti delle offerte votive.
Dagli scavi sono emersi resti di frutta e frammenti di due statuette, tra cui un ushabti egizio databile agli inizi della XXVI dinastia (664-525 a.C.) e oggi conservato al Museo archeologico di Napoli. Il tempio era prostilo tetrastilo su alto podio, cioè con una alta fronte a quattro colonne, costruito in laterizio e rivestito di intonaco decorato.
La cella, poco profonda, aveva un’ampia porta d’accesso visibile tra le colonne centrali della fronte; del tutto perduta è oggi la decorazione musiva dei pavimenti, con mosaici bianchi, neri e policromi. Sul retro del podio, in una nicchia ornata da una corona d’alloro ed affiancata da orecchie in stucco a rilievo -simbolo di disponibilità da parte della dea nell’ascoltare le preghiere dei suoi fedeli- venne ritrovata una statua con Dioniso e pantera, significativa testimonianza della ricorrente associazione fra i culti egizi e quelli dionisiaci.
Ai lati della gradinata del tempio c’è ancora una testimonianza proveniente dalla terra dei faraoni: un’iscrizione in geroglifico asportata dalla lastra dorsale di una statua egizia riporta una breve narrazione delle peripezie di Samtowetefnakte, sacerdote di Harsaphes, nel periodo finale dell’Egitto dinastico, conquistato alla fine del IV secolo a.C. da Alessandro Magno. Il sacerdote ringrazia il dio Harsaphes per averlo protetto durante l’attacco dei Greci e avergli concesso di rientrare a casa sano e salvo (“ne uccisero una moltitudine intorno a me senza che alcuno levasse la mano su di me”). L’iscrizione, sormontata da una processione di figure, fu concepita per essere letta come un rebus. Vicino all’altare, in un angolo, una scaletta conduce ad una camera situata all’interno di un piccolo edificio decorato con stucchi e con immagini di Anubi e Iside, affiancati a Marte e Venere, Perseo e Andromeda.
La funzione di questo piccolo ambiente che si vede proprio di fronte all’ingresso dalla strada è discussa: megaron o sala per il sonno visionario degli iniziati, per alcuni, purgatorium per le abluzioni rituali per altri, luogo da cui attingere l’acqua del Nilo per altri ancora; in ogni caso l’acqua sacra era un elemento essenziale del culto isiaco ed era utilizzata come strumento di purificazione per i fedeli. Gli studiosi pensano che quest’acqua lustrale, attinta da un bacile, venisse portata via dai fedeli all’interno di anforette contrassegnate dalla scritta Serapis dona (doni di Serapide), spesso rinvenute in città, per le cerimonie domestiche svolte all’interno di larari isiaci ritrovati in alcune domus di Pompei.
Un altro importante edificio si trova collocato ad ovest della corte del tempio e anch’esso ha visto varie attribuzioni: telesterion, “curia isiaca”, schola o ekklesiasteron, a seconda delle interpretazioni sulla sua funzione come sala per i banchetti rituali, oppure sala per le sacre rappresentazioni o come luogo di riunione degli Isiaci. Quel che è certo è che l’edificio appartiene ad una fase più tarda e probabilmente venne costruito in occasione di un ridimensionamento dell’adiacente palestra sannitica, ormai non più utilizzata durante l’Età Flavia.
Il tempio di Iside fu scavato all’inizio della riscoperta pompeiana alla metà del Settecento e dagli scavi fu rinvenuta pressoché integra la decorazione pittorica dell’Ekklesiasterion insieme al pavimento in mosaico nero su cui spiccavano in tessere bianche i nomi dei donatori, Numerio Popidio Clesino, suo padre Ampliato e la madre Corelia Celsa; su uno sfondo rosso, Nereidi su delfini, mentre le altre pareti erano decorate con una grandiosa scenografia architettonica con quadri di grandi dimensioni, al cui interno erano narrate le storie di Io, il suo arrivo in Egitto e la sua liberazione dal guardiano Argo da parte di Hermes. In questa sala sono stati anche ritrovati degli scheletri umani, un sistro di bronzo e delle ossa di pollo.
Un’altra grande sala adiacente a questa è il cosiddetto Sacrarium o sala di iniziazione, oggi non visitabile, dove la decorazione presentava varie raffigurazioni di divinità egiziane: la coppia Iside-Osiride, la inventio Osiridis, cioè il ritrovamento del corpo di Osiride, Bes e statuette di vari animali sacri corrispondenti ad altri dei del pantheon egizio. Il locale, certamente con funzione cultuale, forse per la catechesi dei neofiti, serviva anche da deposito per gli arredi sacri e qui si sono rivenute due teste femminili, una testa di uomo barbato, vari arti e una statuetta di faience verde.
Alcuni ambienti di servizio arricchivano il complesso sacro, in particolare il pasthophorion o appartamento dei sacerdoti; era disposto su due piani e comprendeva cucine e camere da pranzo e da letto.
Su un piano di cottura, i diari di scavo dell’Ottocento ricordano la presenza di stoviglie con resti di pesci ed altri animali, mentre uno scheletro, probabilmente un fuggiasco, viene ricordato con un’ascia usata per forare un muro.