Baldassare e il suino casertano: insostituibile riserva di energia per affrontare l’inverno
Correva il 1899 il prof. Baldassarre, dell’ allora Regio Istituto Superiore per l’ Agricoltura di Portici, esaminando antiche raffigurazioni di suini e cinghiali rinvenute negli scavi archeologici di Capua, Pompei ed Ercolano, suppose di individuare le caratteristiche dell’odierno suino “casertano”, probabilmente già allevato in epoca romana, universalmente riconosciuto come una tra le migliori popolazioni suine autoctone italiane, anticamente definita dagli esperti “l’orgoglio suino italiano”.
Il suino casertano non è una “razza”, ma un “Tipo Genetico Autoctono Antico” (TGAA), caratterizzato da un colore grigio ardesia del manto, dall’assenza di setole e dalla presenza delle cosiddette “sciuccaglie”, due bargigli che gli pendono ai lati della gola. Si distingue nettamente dai cosiddetti “maiali neri”, tipici della Romagna e della Calabria. Antichissimo e assolutamente singolare, questo suino è da secoli allevato allo stato semibrado nei boschi del Casertano e del Beneventano, dove si nutre di ghiande, castagne e altri vegetali del sottobosco, ma non disdegna qualsiasi altro tipo di alimento che riesce, a scovare con il suo muso allungato. Immancabile tra gli animali allevati delle famiglie contadine, è capace di ingurgitare e di “valorizzare” ogni sorta di scarto vegetale trasformando qualsiasi rifiuto organico in proteine ad elevato valore alimentare offrendo così lardo e carni marezzate tenere, compatte e saporite.
Macellato tra gennaio e febbraio, costituiva un’insostituibile riserva di energia per affrontare i rigori invernali. L’abbondante grasso addominale prodotto veniva e viene utilizzato per fare la “sugna”, il condimento base nella cucina tradizionale contadina, insostituibile per confezionare prodotti da forno campani quali: taralli nzogna e pepe, casatielli, torte rustiche, ottima per rendere più morbida la pasta per la pizza in teglia, eccellente per conservare le tipiche “salsicce sotto sugna” del casertano. Nel secondo dopoguerra il suino casertano venne soppiantato dai più magri e produttivi suini bianchi di origine anglo-americana, cosa che gli costò pressoché l’estinzione.
Recentemente rivalutato per la particolare gustosità delle sue carni, si sta verificando un rinnovato interesse per i cui prodotti, freschi o trasformati, è in itinere l’ottenimento della DOP. Viene macellato fra i sedici e i ventiquattro mesi, ricavandone una carne di eccezionale qualità. La prolificità è limitata, con una media di 4-6 suinetti per parto ed un massimo di 10. Sono una razza precoce: ad un anno le scrofe pesano 120-140 Kg, i verri 150-170 Kg e i soggetti all’ingrasso 219 Kg.
La carne del suino Nero Casertano è da tempo stimata per le sue qualità di gusto e sapore. È ottima consumata fresca, alla griglia, in forno o trasformata in prelibate delizie quali: salsicce, soppressate, ciccioli, capicolli, coppe, lonze, salami e prosciutti sapientemente valorizzati da tradizionali ricette o ancor sfidando il nuovo con ricette che ne esaltano il gusto come il connubio tra la mela annurca e il maiale nero, solitamente celebrato con i secondi, che contro ogni scetticismo ho provato in uno strepitoso primo piatto:
Taccozzette alla Mela Annurca e Maiale Nero Casertano con pesto al Provolone del Monaco
Ingredienti
500 g di Taccozzette di Gragnano
400 g di polpa macinata di maiale nero casertano
1 mela annurca
½ cucchiaino di semi di finocchietto
1 scalogno
1 bicchiere di vino bianco
10 foglie di basilico
50 g di Provolone del Monaco dop
Olio extra vergine d’oliva
sale
Preparazione
Condire la polpa macinata con finocchietto tritato e sale. In un tegame di rame soffriggere delicatamente lo scalogno nell’olio, aggiungere la mela tagliata a cubetti e rosolarla a fiamma sostenuta, aggiungere la carne e continuare a rosolare amalgamando continuamente con una spatola di legno; sfumare con il vino bianco e lasciar cuocere per 10 minuti. In un mixer mettere il provolone a pezzetti, il basilico, l’olio e frullare per ottenere il pesto. In una pentola con acqua in ebollizione cuocere le taccozzette, scolarle 2 minuti prima del tempo indicato, mantecarle con il sugo di mele e carne, spegnere, aggiungere il pesto e continuare ad amalgamare. Dargli il meritato riposo e impiattare. In abbinamento, quello che viene definito il vino dei Borbone, il Pallagrello Nero, vitigno autoctono casertano la cui provenienza risale presumibilmente all’antica Grecia. La denominazione pallagrello deriva dal dialettale ‘u pallarell, ovvero piccola palla, riferito all’acino minuto e rotondo. Vino molto apprezzato da Ferdinando IV di Borbone che gli riservo’ un posto nella sua Vigna preferendolo ai vini del Vesuvio, divenendo così il vino del Re. Di colore rubino intenso. Al naso presenta note di frutti rossi, tabacco, confettura di more, al palato armonico e morbidamente vellutato in perfetta armonia con piatto così originale.