I tesori della zona archeologica e della tradizione enogastronomia del territorio
Paestum era una terra dimenticata. Finché si riscoprì il fascino dell’antico splendore di Poseidonia. Negli anni ’30, Pesto tornò a chiamarsi alla latina. La zona dei templi, in cui i pastori pascolavano beati gli armenti, si rimise in ordine. Dopo la seconda guerra mondiale, l’interesse per Paestum non scemò. Archiviato il fascismo, che pure aveva investito e tanto sulla riscoperta archeologica e storica, giunsero studiosi da ogni parte d’Italia e del mondo. Insieme a loro, arrivarono i primi turisti.
La zona archeologica pestana, oggi, è sostanzialmente a misura di pedone. Non è stato sempre così, però. La lingua d’asfalto che taglia a metà l’area (e copre mezzo anfiteatro romano) era il tracciato della vecchia strada statale delle Calabrie, che univa la Campania fino alla Calabria.
Oggi, questa è diventata una stradina turistica che attraversa una zona turistica in cui tutto è a portata di mano. Nell’ampiezza di un fazzoletto c’è tutto: il Parco, dove sorgono i maestosi Templi; il Museo dove le vestigia antiche parlano attraverso le teche mille lingue antiche; la Basilica Paleocristiana che, quasi pudica, si nasconde nella “sua” piazza, poco distante dal Museo Archeologico Nazionale. Poco più su, a Capaccio, c’è il santuario dedicato alla Madonna del Granato, dove è tangibile il retaggio precristiano e la sua inculturazione nella fede di Cristo.
Poco più in là c’è il mare, quella costa che accolse i primi coloni greci provenienti da Sibari, poco più di 2600 anni fa. Qui il litorale sabbioso, che da Salerno scende fino alle porte del Cilento, inizia a fondersi con le sponde marine a sassi della vicina Agropoli. Più lontano, ma vicina a Paestum culturalmente, storicamente è Ascea dove Parmenide e Zenone dell’antica Elea, fondarono i capisaldi del pensiero filosofico occidentale. Furono queste le prime colonie greche in Campania. Ma qui si registrarono anche delle feroci battaglie e delle guerre sanguinose. Portate, tra gli altri, anche dallo zio di Alessandro il Macedone che giunse fin qui per ridimensionare la nascente potenza di Sanniti e Lucani.
A Paestum ci si ferma anche per il cibo. Non s’è spenta qui, difatti, l’antica tradizione dell’allevamento delle bufale. Da cui si ricava il latte che, debitamente lavorato dalle mani esperte dei casari, si trasforma nelle squisite mozzarelle che seducono le buone forchette.