I luoghi di ristoro a Pompei

Viaggio nei luoghi più frequentati per poter scambiare chiacchiere, bere vino e consumare cibo

Gli antichi Romani iniziavano la loro attività fuori casa spesso a digiuno, soprattutto dopo abbondanti cene consumate a casa con amici. 

Per questo motivo vi erano erano nelle città – e soprattutto a Pompei – luoghi dove si potevano consumare pasti frugali. Quando non si rientrava a casa per il prandium del mezzogiorno, oppure nei casi in cui non si aveva con se un paniere con provviste, tabernae, popinae, cauponae e thermopolia erano sicuramente i luoghi più frequentati per poter scambiare chiacchiere, bere vino e consumare cibo.

Spesso questi luoghi godevano però di cattiva fama, dovuta al fatto che la gestione era affidata a persone di una classe di infimo rango. Si trattava per lo più di liberti, raramente di cittadini importanti, costretti per necessità ad esercitare tali mestieri.

Come attestano numerosi graffiti, a Pompei conosciamo anche donne che gestivano questo genere di attività. Prendiamo, ad esempio, il caso di Asellina che vendeva bevande calde in un thermopolium di via dell’Abbondanza e aveva così tanta influenza da far dipingere fuori dal suo locale iscrizioni elettorali in favore del candidato Caio Lolio Fusco. A firmare con lei il manifesto vi furono altre donne, indicate come “Aselline”, i cui rapporti con la proprietaria ci sfuggono. Queste donne, infatti, spesso sono indicate come schiave, cameriere ma anche prostitute di origine orientale. Maria, Zmyrina, Palmyra sono solo alcuni dei nomi femminili trovati su graffiti di Pompei e che indicano chiaramente inviti a prestazioni di tipo sessuale.

La taberna o taverna, originariamente costituiva la bottega oscura e mal messa che ospitava l’attrezzatura degli artigiani. Successivamente, dalla taberna vinaria in poi, si andò a indicare la taverna per eccellenza un luogo in cui si vendeva il vino al dettaglio e si poteva mangiare qualcosa di frugale per accompagnare la bevuta.

Le taverne disponevano di un bancone in pietra aperto sulla strada, generalmente dotato di cinque o sei giare incastrate nel bancone stesso. Accanto al banco, un piccolo fornello reggeva una casseruola nella quale era pronta l’acqua calda. Dietro alla taberna e accanto alle latrinae, si trovava spesso la cucina con una o più sale per la consumazione dei pasti; questo dipendeva dall’importanza o meno del locale.

Differentemente, la popina, il cui nome è di origine greca, non serviva vino al dettaglio. Era una trattoria dove la bevanda veniva portata ai tavoli solo per accompagnare i piatti del pasto. La popina godeva di cattiva fama ancor più della taberna, tanto che il poeta Orazio cita questi luoghi come “immundae popinae”, spesso frequentate anche da imperatori famosi come Nerone per trovare un po’ di “colore” locale.

Altri luoghi di “ristoro” erano il thermopolium (il cui nome fa pensare ad una vendita di acqua calda) e l’oenopolium (vendita di vini) di antica tradizione. Simili alla popine erano anche le cauponae, stanziate per lo più lungo le strade carrozzabili.

Quanto costava un pasto? Le tariffe di queste locande non dovevano essere molto alte ed il vino spesso si trovava a buon mercato.

I graffiti trovati sui muri delle sale dove si mangiava non ci forniscono grosse informazioni relative ai prezzi ma sicuramente ci informano su un oste non tanto onesto con qualche cliente: “TALIA TE FALLANT UTINAM ME(N)DACIA COPO TU VE(N)DES ACUAM ET BIBES IPSE MERUM TALIA TE FALLANT UTINAM ME(N)DACIA COPO TU VE(N)DES ACUAM ET BIBES IPSE MERUM”, “Vorrei che tali inganni ti si ritorcessero contro, oste: tu vendi acqua ma bevi vino schietto”.

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