Le scoperte ottocentesche e i ritrovamenti “dimenticati”, un culto gastronomico napoletano
A Pompei si mangiavano i taralli. Non rappresenta certo una novità che l’arte della panificazione nell’antica città fosse all’avanguardia. Accanto ai forni domestici, alle falde del Vesuvio erano attivi più di trenta pistrina, le botteghe artigiane dei fornai. Alcune scritte rinvenute nell’area parlano fin troppo chiaro: “Viandante, mangia pane a Pompei ma bevi a Nocera”.
Grazie agli scavi e agli studi di intere generazioni di archeologi s’è riuscita a ricostruire buona parte di quella che fu la vita quotidiana degli abitanti della città poi sommersa dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. L’alimentazione rappresenta uno degli aspetti più interessanti delle scoperte. E il pane, insieme a quelli che oggi definiremmo prodotti da forno, rappresentava una delle eccellenze di quei territori.
Tra le differenti specialità, ecco emergere dai diari di Giuseppe Fiorelli, archeologo e numismatico che dedicò gran parte del suo impegno agli scavi di Pompei nella prima metà dell’Ottocento, alcune peculiari scoperte. E che riguardano uno dei simboli della tradizione mangereccia campana e napoletana. Due volte, nel 1821 e vent’anni dopo, nel 1841, Fiorelli annota il rinvenimento di biscotti così simili agli attuali taralli da farglieli classificare, appunto, come tali.
Alla data del 4 settembre 1821, l’archeologo annota l’elenco di oggetti rinvenuti in una delle botteghe nell’area adiacente il Tempio di Giove, praticamente nel Foro. Insieme al tarallo, Fiorelli trovò anche i resti di fichi, ovviamente carbonizzati. Il 22 marzo 1841, lo studioso scrive di aver trovato un tarallo durante i lavori di scavi “ne’ due soliti punti, cioé ne’ compresi a destra la strada de’ Mercadanti, e nella strada alle Porte di Nola”. Tra vasellame integro e reperti rotti, tazze, monete, chiavi e chiodi, spuntano anche un tarallo, una tazza con dei “pannini [sic] carbonizzati” e del pane.
Il tarallo pompeiano, di cui ignoriamo sapori e ricette, perciò, potrebbe essere all’origine del biscotto che, dolce o salato, allungato o a forma di collana, rimane uno dei simboli, ormai di caratura nazionalpopolare, della cultura gastronomica di Napoli e della Campania.